Winter 8000 – l’epopea dell’alpinismo invernale sui giganti della Terra

di Saverio D’Eredità

Ad essere onesti e anche un po’in controtendenza rispetto ad un certo “perbenismo” della letteratura di montagna, dovremmo ammettere che la lettura delle imprese himalayane non è mai stata travolgente in termini di interesse. Eccezion fatta forse per un narratore (e personaggio) sui generis come Kurt Diemberger, i racconti di spole tra campi, bufere, ritirate, sofferenze e stati di anestesia mentale non permettono certo al lettore di immedesimarsi, ma al più di sedersi ed osservare come spettatori al cinema le gesta di uomini fuori dal comune. Soprattutto, una volta chiuso il libro e osservato estasiati le foto delle altissime quote, la storia appena letta rimarrà in quel limbo di ricordi di cose sì eccezionali, ma che di certo non cambieranno la nostra vita né il modo di pensare. Non me ne vogliano gli appassionati del genere, tutti abbiamo gongolato davanti ai libri di Messner fino alle più recenti imprese di Moro, ma oggettivamente c’è di meglio da leggere. Tuttavia Bernadette Mc Donald, una delle, se non la più importante narratrice di alpinismo attualmente, riesce ogni volta a stupire e tenere incollato il lettore. Da questo, nelle arti, si riconosce il talento. Mettere insieme le storie di alpinisti polacchi dalla pronuncia ostica, alle prese con la sfida ai giganti della terra nella stagione fredda e per giunta ormai non più attuali (si parla degli anni tra il 70 e i primi 2000), insieme a quelle più “mainstream” di un atleta specializzato come Moro, rischiava di diventare un esercizio di cronaca alpinistica senza molto di più. Invece ancora una volta dopo “I guerrieri dell’Est” la scrittrice canadese riesce a rendere avvincenti le vicende di uomini e donne che si sono ingaggiati in una delle ultime esplorazioni possibili in ambiente estremo. Scalare gli 8000 in inverno, infatti, è paragonabile a qualcosa di simile alle “saghe” polari Amundsen e Shackleton, o la corsa allo spazio. Un ambiente cioè non fatto per l’essere umano, non solo come difficoltà tecnica ma soprattutto per incompatibilità biologica. Prendiamoli così, come astronauti terrestri, quei folli determinatissimi polacchi, giapponesi, russi o italiani. Capaci di resistere con il ghiaccio nei polmoni nel disagio più assoluto per settimane se non mesi dentro tendine abbarbicate su gradini di neve, a superare pendii con neve al petto, a torturare il corpo in una specie di sublime arte della sofferenza. Una definizione del grandissimo Vojtek Kurtyka – uno dei protagonisti di quella generazione- e che si ritrova come un filo sottile in ognuno dei 14 capitoli (uno per ciascuno ottomila, descritti in ordine cronologico di scalata) sui quali è costruito il libro. E “l’arte di soffrire” è il titolo dell’introduzione in cui la Mc Donald spiega come ha preso avvio questa avventura letteraria, dal primo incontro con Andrej Zawada – nome poco noto al grande pubblico, ma vera mente strategica che ha animato la corsa polacca agli ottomila della scuola polacca – fino alle storie più intime di quegli uomini disposti veramente a tutto. Accanto alla cronaca, infatti, emergono i tratti più personali, le motivazioni profonde, il contesto sociale e quello familiare che McDonald non teme di mettere in luce. Come sempre nei suoi libri, gli alpinisti perdono la corazza dorata da eroi greci che si tramanda nella narrazione ufficiale, per scoprirsi fragili, contradditori o egoisti come tutti. E questo è indiscutibilmente il merito di una grande narratrice.

Di acqua. Di luce.

di Saverio D’Eredità

“…a climber’s heart cannot wish for more”

Ora, ditemi se con una introduzione del genere non vi fiondereste anche voi sotto la parete. Anche se il nome della cima si divincola a mala pena tra i denti con tutte quelle consonanti e quello dei primi salitori pare uscito da una spy story. Anche se si tratta di una valle subalterna della grande regione del Triglav che per arrivarci un’occhiata alla mappa per sicurezza ce la dai. Ed anche se a conti fatti ci sono più di due ore di avvicinamento e oltre tre di discesa per “appena” 400 metri e su difficoltà moderate – che a casa poi qualcuno vedendoti tornare col buio giustamente ti chiede “ma almeno era bella?”.

Sarebbe da spiegare che di mezzo ci sono i libri e qualche volta la tristezza. Perché il fatto è che quando sono triste compro libri. È una specie di antidolorifico ed antidepressivo, mi serve per dare un senso di profondità a certe giornate che se ci pensi ti fanno male solo a vederle passare. Si lo so che è una cosa un po’consumistica (sei triste quindi compri e rimetti in circolo la viziosa circolarità della società dei consumi), ma tutto sommato trovo che sfogarsi sui libri sia un po’meglio che sulle slot machine.

Mi sa che ero triste o semi depresso per qualche inconcludente riunione quel pomeriggio quando, passando in piazza Oberdan a Trieste, sono entrato nella libreria slovena senza sapere nemmeno il perché (cosa ci vai a fare in effetti, tu che sai quelle 12 parole di sloveno imparate ad un corso serale 10 anni fa?) e ho chiesto se avevano “Slovenske Stene”. Forse perché ci sono pomeriggi a Trieste – la luce radente di un tramonto di ottobre gioca la sua parte, e il vento pure – in cui mi pare di esserci già, tra le rocce delle Giulie. Continua a leggere

Il vento non può essere catturato dagli uomini

di Carlo Piovan

Forse non dovrei scrivere questa recensione, dal momento che non ho ancora il libro in mano; ma supero l’indugio dal momento che l’autore mi ha permesso di vivere l’esperienza del correttore di bozze, pertanto mi assumo l’onere di scrivere la (forse) prima recensione di questo testo di narrativa ancor prima di averlo letto nella sua versione stampata. Una recensione dietro le quinte.

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Oltre il confine – L’alpinismo antifascista di Ettore Castiglioni

di Saverio D’Eredità

Una piccola croce di legno, appoggiata ad un fascia rocciosa, così piccola e scura che fai fatica a notarla. Che penseresti sia stata messa lì per caso, o dimenticata.
E’ proprio dei Giusti non pretendere sepolcri solenni, ma accontentarsi di cerimonie minime e luoghi umili. Ettore Castiglioni fu, prima che alpinista, scrittore, musicista, viaggiatore, un Giusto.

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Il Desiderio di Infinito – vita di Giusto Gervasutti

di Saverio D’Eredità

C’è un angelo triste che osserva il destino confuso degli uomini dalla stretta vetta del Requin. Le mani, grosse e nodose di alpinista, stringono asole di canapa. E’ vestito secondo lo stile dell’epoca. Semplicemente. Una giacca di panno e pantaloni di fustagno. In vita è stretta una corda. Il volto, bruciato e corrugato dal sole, pare come torvo e pensoso. A cosa penserà, l’angelo triste?

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La Sciatrice

di Saverio D’Eredità

Che il romanzo alpino non sia un genere di successo è noto ai lettori e scrittori di montagna già da tempo, se è vero che già cento anni fa Kugy ne denunciava limiti e carenze. Che la causa non sia forse da ricercare proprio nella predisposizione ed attitudine di lettori e scrittori sarebbe forse da indagare. Se è vero questo lo è altrettanto il fatto che proprio chi la montagna la vive e frequenta non gradisce (o mal sopporta) incursioni “di genere” in un terreno considerato esclusivo appannaggio proprio di chi ritiene la montagna un ambito poco adatto ad inscenare storie ed intrecci che appartengono alla narrazione classica. Come se tutta la colossale letteratura che si ambienta per mari ed oceani (Melville, Conrad, Hemingway per dare una manciata di nomi) dovesse prima essere filtrata ed accettata da capitani e navigatori! Continua a leggere