Estate su una spiaggia solitaria

di Saverio D’Eredità

Quando è, come è che succede, che gli esseri umani perdono l’amore? Dove sta l’innesco del distacco, il fattore scatenante, dove nel corso del tempo, si perde la cura, l’affetto, l’attenzione per le cose, per i luoghi?

Ho sempre avuto una predilezione per i luoghi – per così dire – perduti. Non brutti, e nemmeno sfigati. Diciamo quei posti che una bellezza pure ce l’avevano – una loro bellezza – che è sfiorita o è solo passata di moda o magari chissà, nessuno capisce più come certe lingue antiche. I luoghi perduti – ci metterei dentro anche certe vallate un po’ “degagè”, case abbandonate, aree industriali dismesse – sono lì che ti guardano con occhi da cane di strada, pronte ad accoglierti con quel poco che hanno.

Ho conosciuto Premariacco uno di quei pomeriggi di gennaio dalla luce corta e l’umidità feroce. Con Loris accendemmo un fuoco con i rami trovati sul greto del torrente, annidati nei buchi da dove usciva l’odore pesante di piante marcite e ci sedemmo sulla spiaggetta a raccogliere quel po’di calore e quel tanto di fumo che il nostro fuoco emanava. Mi mostrò la sequenza dei traversi e mi disse che questo era un buon allenamento se rimanevo da solo. Senza saperlo, stavo apprendendo un’altra delle diverse declinazioni dell’arrampicare, quel “boulder” che poi sarebbe diventato una disciplina a sé stante, che una volta era solo un gioco e che anni io anni prima, istintivamente, praticavo sui muretti del parco. Senza saperlo, forse nemmeno volerlo, Loris mi stava predicendo un futuro inevitabile.

Continua a leggere

La prossima collina

di Saverio D’Eredità

Per giorni non avevo visto che lo stesso cielo. La stessa porzione ritagliata tra due cubi di cemento appena movimentata dalla chioma di un pino. Giorni in cui avevo finito per perdere il senso dello spazio e del tempo e l’interesse per qualsiasi cosa che non fosse uscire da lì, dove vedevo sempre lo stesso cielo. Quando sono uscito le montagne stavano ancora lì e la prima che si vede è il Gran Monte, barriera frangiflutti regolare e tarchiata che difende le Giulie e le valli più interne. E’ un monte generoso e bonario. Si prende il soffio caldo della pianura, i suoi vapori appiccicosi, le secchiate d’acqua delle perturbazioni autunnali, lasciando al Canin la nobiltà dell’abito bianco. Il Gran Monte assomiglia a quegli animali giganteschi ma buoni delle fiabe. Tipo Falcor della Storia Infinita. Ti raccoglie con il suo lungo collo là dove sorge il Torre e ti deposita dolcemente con la coda sulle rive dell’Isonzo. In mezzo ci passa un confine, ma lui non c’ha mai fatto troppo caso. E’ appena un piccolo cippo che devi solo stare attento a non inciamparci. Sul Gran Monte ci andavo sempre, ai primi tempi, e a quasi sempre da solo. Perché avevo pochi soldi per la benzina e quasi nessun compagno. Poi ho potuto fare qualche pieno in più e caricare in auto qualche altro amico. Sul Gran Monte non ci son più tornato, senza però smettere di guardarlo. Andando e riandando con gli occhi sul filo di quella spina dorsale.

Il Gran Monte, per noi della pianura, è da sempre la prossima collina. Quella che ti spinge a salirla per vedere, da lì, cosa c’è oltre. In fin dei conti, sta tutto qui. In quello che ti spinge alla prossima collina e da lì ancora avanti. Per vedere come è il cielo da lassù. Attraversarlo per intero, il Gran Monte, non lo si fa certo perché è una grande impresa e nemmeno per arrivare da qualche parte. Lo si fa per riconoscenza.

Ci sono volte in cui non puoi pensare di recuperare qualcosa che non c’è più. Ci sono volte in cui la cosa migliore da fare è ricominciare tutto da zero. Rifare le zaino e partire, come fosse la prima volta. Non per riprendere da dove avevi interrotto, ma come se davanti a te ci fosse solo un nuovo viaggio. Verso la prossima collina.

Nei pressi di Punta Montemaggiore – foto S.D’Eredità
Continua a leggere

Una specie di ritorno a casa

di Saverio D’Eredità

Non so dove ho letto una volta (credo fosse uno dei consigli di Jolly Power), che per migliorare la prima cosa da fare è frequentare le falesie giuste. Muri verticali e strapiombanti, movimenti obbligati, spittaggi seri dove volare lungo e volare bene, e non certi “scogli caiani”.
Niente da dire, Jolly la tocca sempre pianissimo, ma c’ha ragione da vendere. Nessuno è mai migliorato grufolando sugli scogli caiani, quelle falesie che appunto affiorano dai boschi di pedemontana come montagne in miniatura, o peggio ancora ricavate ai bordi di vecchie strade.
Falesie inconfondibili, poco depilate e ben ornate di rovi e cespugli, con bei terrazzoni e persino camini (camini! In falesia!) magari cosparse di soste di varie epoche, in cui spuntano qua e là il chiodone storico sul quale si ricamano le più disparate leggende (una volta noi mettevamo quel chiodo e basta fino su! E mai cadere ti dirà il vecio di turno), la sosta nuova di pacca, lo pneumatico per le prove di caduta e la corda fissa. Continua a leggere

La montagna del cuore

di Saverio D’Eredità

Ognuno di noi ha una montagna del cuore. O almeno dovrebbe, se proprio non è arido d’animo. Non deve necessariamente quella più bella, o più famosa o più difficile. Anzi, non dovrebbe essere nessuna di queste. Dovrebbe essere solo un luogo di riconciliazione. Dove andare quando si è stanchi. O non si ha tempo o voglia di pensare. Quando vuoi condividere qualcosa. O semplicemente, per stare. Come quando da bambino ti portavano dai nonni, e non c’era niente di meglio di quelle ore lente e pacifiche in cui ci sentivamo accolti e protetti. Che magari lì per lì dai nonni non ci volevi andare perché pensavi di annoiarti e invece finiva che da quei pomeriggi non ti saresti staccato mai.

Continua a leggere