di Saverio D’Eredità
Quando è, come è che succede, che gli esseri umani perdono l’amore? Dove sta l’innesco del distacco, il fattore scatenante, dove nel corso del tempo, si perde la cura, l’affetto, l’attenzione per le cose, per i luoghi?
Ho sempre avuto una predilezione per i luoghi – per così dire – perduti. Non brutti, e nemmeno sfigati. Diciamo quei posti che una bellezza pure ce l’avevano – una loro bellezza – che è sfiorita o è solo passata di moda o magari chissà, nessuno capisce più come certe lingue antiche. I luoghi perduti – ci metterei dentro anche certe vallate un po’ “degagè”, case abbandonate, aree industriali dismesse – sono lì che ti guardano con occhi da cane di strada, pronte ad accoglierti con quel poco che hanno.
Ho conosciuto Premariacco uno di quei pomeriggi di gennaio dalla luce corta e l’umidità feroce. Con Loris accendemmo un fuoco con i rami trovati sul greto del torrente, annidati nei buchi da dove usciva l’odore pesante di piante marcite e ci sedemmo sulla spiaggetta a raccogliere quel po’di calore e quel tanto di fumo che il nostro fuoco emanava. Mi mostrò la sequenza dei traversi e mi disse che questo era un buon allenamento se rimanevo da solo. Senza saperlo, stavo apprendendo un’altra delle diverse declinazioni dell’arrampicare, quel “boulder” che poi sarebbe diventato una disciplina a sé stante, che una volta era solo un gioco e che anni io anni prima, istintivamente, praticavo sui muretti del parco. Senza saperlo, forse nemmeno volerlo, Loris mi stava predicendo un futuro inevitabile.
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