Il tempo della Civetta

di Carlo Piovan

Per un amante delle arrampicate dolomitiche, il termine “Nord – Ovest” indica molto di più di un orientamento geografico. La combinazione dei due sostantivi, racchiude un’immagine chiara nella mente di ogni alpinista, un profilo fatto di chilometri di dolomia, a sviluppo verticale, con un piccolo cuore di ghiaccio, “il Giazzer”, nel mezzo. Una presenza imponente che sovrasta l’abitato di Alleghe e domina come un enorme rapace in planata la valle del Cordevole. Molto più a sud delle sorelle maggiori viene prevalentemente percorsa in estate, quando il clima consente di arrampicare leggeri e veloci come conviene ad ogni buon dolomitista. In inverno la parete nord – ovest della Civetta gonfia le sue fessure e i suoi camini di neve e ghiaccio, elevandosi al pari delle ben più note consorelle poste a cavallo dell’arco alpino Occidentale.

La linea

Nell’agosto del 1925 tre uomini arrivati dalla Germania, E. Solleder, G. Lettembauer e Gobel decidono di affrontare per una via diretta l’immensa muraglia della nord – ovest della Civetta, dopo un primo tentativo che costerà un grave incidente a Gobel, Solleder e Lettembauer riusciranno nell’impresa, non solo aprendo le porte alla stagione dolomitica del VI grado, ma compiendo un capolavoro che tutt’oggi, per l’asprezza dell’ambiente in cui si muove, rimane un banco di prova per generazioni di alpinisti.

La Solleder in inverno

Il primo a coltivare l’idea di salire la visionaria linea aperta dai tedeschi è il connazionale Martin Schliesser, nel 1948 arriva con due compagni e molto materiale al rifugio Coldai (il rif. Tissi ancora non esisteva). Dopo due tentativi infruttuosi, torna a casa con la promessa di tornare la stagione futura; promessa che non avrà seguito.

A Nord e d’inverno

Negli anni sessanta si apre ufficialmente la corsa al salire le grandi pareti Nord delle Alpi nella stagione più fredda. Nel 1961 T. Kinshofer, A. Mannhardt, W. Almberger e T. Hiebeler si aggiudicano la prima salita invernale della parete nord Eiger per la via Heckmair – Harrer. L’anno successivo H. Von Allmen e P. Etter salgono per la prima volta in inverno le via Schmidt alla parete Nord del Cervino in due giorni. Il 1963 è l’anno delle Jorasses, tra il 25 e il 30 gennaio W. Bonatti e C. Zappelli salgono la Cassin alla Nord delle Grand Jorasses. Nello stesso anno, dopo un precedente tentativo nel 1959 il bellunese Roberto Sorgato riunisce attorno a se quello che gli anglosassoni definirebbero un dream team. Ignazio Piussi, Giorgio Redaelli e Toni Hiebeler, riuniti per riuscire nell’impresa.

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La fessura Lettembauer nel ’63

che cosa bisognava fare per capire la Solleder d’inverno? Bisognava salirla d’estate con il cattivo tempo, anche sotto la pioggia, per vedere dove scendeva l’acqua, perché indubbiamente con la pioggia d’autunno, e subito dopo le prime gelate, ecco che camini e fessure e colatoi si sarebbero coperti di ghiaccio. Scalare la via mentre pioveva ci avrebbe permesso di sapere esattamente dove e quali sarebbero state le maggiori difficoltà che avremmo incontrato d’inverno. (R. Sorgato)

Il 26 Febbraio del 1963 i quattro attaccano la parete, ma il giorno seguente Sorgato è costretto a scendere e rientrare all’Ospedale di Belluno per una fortissima febbre. Proseguiranno Piussi, Redaelli ed Hiebeler che riusciranno a compiere l’impresa dopo otto giorni e sette durissimi bivacchi dei quali cinque senza fornelletto a benzina, saranno costretti a bruciare i cunei di legno per scaldarsi. La tenacia e la determinazione di Piussi sarà fondamentale per la riuscita della salita

io avevo scavato una fessura artificiale nel ghiaccio: mi ero infilato dentro e facevo pressione per salire; ero già debole, facevo una fatica tremenda. (I. Piussi)

A distanza di due giorni Roberto Sorgato con Menegus e Bonafede, reduci da pochi giorni da un tentativo alla Su Alto, seguiranno a ruota Piussi e compagni, salendo sulle loro tracce, si assicureranno la seconda ripetizione invernale della Solleder.

Solo con la conoscenza di se stesso.

Marco Anghileri , alpinista lecchese non certo nuovo a salite solitarie anche in inverno all’ombra della Zuita, già nel 1994 aveva salito la via Aste alla Punta Civetta, nel 1998 effettua un primo tentativo alla Solleder, ma la rottura del fornello lo costringe a scendere e rinunciare alla salita. Il 14 gennaio del 2000 ritorna sotto la parete, senza allenamenti specifici alle spalle ma pienamente cosciente delle sue capacità. Dal racconto della salita emerge come un solidissimo senso di autocontrollo e coscienza di quello che stava portando a compimento, fossero gli assi nella manica, che portava con se. Impiegherà cinque giorni a salire la parete, dove si misurerà con se stesso, prima che con le fessure ghiacciate della Solleder.

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Il tracciato della via con i bivacchi fatti da Anghileri – fonte M. Anghileri –

ora Marco esiste solo il metro quadrato intorno a te, non esiste nient’altro, né sopra, né sotto. Devi avere pazienza, che in questi casi è il tuo forte, e via minuto dopo minuto, anche se hai solo un picozzino/martello … Fortuna che hai fatto cascate questo mese, chissà poi perché proprio quest’anno?… Il caso… (M. Anghileri)

A Nord delle Dolomiti.

A partire dagli anni 2000 le più famose pareti nord delle Alpi, vengono salite non solo in giornata e in solitaria, ma anche con tempi record che si attestano sulle 2 ore, minuto più minuto meno; ricordiamo i tre record per eccellenza: Nord del Cervino per la via Schimdt, Dani Arnold in 1:46 h nel 2015; Nord delle Grand Jorasse per la via Colton McIntyre, Ueli Steck in 2,21 h nel 2008; Eiger parete Nord via Heckmair – Harrer, Ueli Steck in 2,20 h nel 2015.

Natale 2017 una Nord che richiede tempo.

Tre giovani alpinisti francesi, membri del GMHM ( groupe militaire de haute montagne) di Chamonix, Leo Billon, Benjamin Vedrines e Max Bonniot. Salgono tra il 22 e il 25 dicembre a distanza di 54 anni dalla prima invernale, la Solleder nella stagione fredda. A differenza di molte altre pareti delle Alpi, la Civetta si candida ancora come banco di prova che non ha bisogno di evocare il mito per attirare l’attenzione. Lo dimostra richiedendo, ancora oggi, grande impegno e preparazione, anche da parte di professionisti della montagna. Quattro giorni e tre bivacchi per superare il muro di ghiaccio e rocce della Nord – Ovest, senza conoscere la montagna.

Dall’intervista rilasciata alla rivista Alpinismi e dalle poche foto presenti in rete, emerge come a differenza delle salite non solo del 1963 ma anche del 2000, la tecnica di progressione nota come ”dry tooling” venga ampiamente usata per superare le famose fessure ghiacciate accompagnata da una sempre maggiore capacità nello scalare in punta di ramponi.

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Lungo il tiro della cascata https://www.facebook.com/gmhm.chamonix/videos/1850395891668149/- fonte GMHM

C’è anche il fatto che il calcare è una motivazione in più in quanto la scalata è molto meno intuitiva rispetto al granito, bisogna scalare perfettamente con le picozze e perfettamente con le mani […] anche le lunghezze di III o IV grado posso tranquillamente essere difficili con la neve e i ramponi. (Billon,Vedrines,Bonniot)

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Lungo le fessure ghiacciate – fonte GMHM

La sempre maggiore diffusione di questa tecnica, non solo nelle Alpi ma anche nelle Dolomiti, seppur oggi tendenzialmente limitata a brevi itinerari, porterà sicuramente a riscoprire molte salite classiche degli anni ’30 come nuovo terreno d’avventura per l’inverno. Una nuova stagione sta per iniziare, la tecnica non uccide l’avventura a priori, ma se messa a sua disposizione ne può rinnovare il terreno di gioco.

Bibliografia

P.Favero, Civetta tra le pieghe della parete, Priuli e Verlucca, 2007.

M. Anghileri, Civetta, via Solleder da solo in inverno, Lecco, Stefanoni, 2000.

E. Confortin, Natale in Civetta ripetizione invernale della Solleder Lattembauer in Alpinismi http://www.alpinismi.com/it/2018/01/01/solleder-lettenbauer-invern

2 risposte a "Il tempo della Civetta"

  1. Paolo Gorini 12 ottobre 2023 / 15:06

    Mi permetto di fare osservare che il piccolo ghiacciaio pensile sulla parete nord-ovest della Civetta non si chiama “Giazzèr”, bensì Cristallo.
    Il “Giazzèr”, ovvero quel poco che ne resta, si trova sul versante sud della stessa montagna in testa alla val dei Cantoni e costituiva la prima parte della salita alla Civetta da Sud.
    Mi scuso per il disturbo arrecato.
    paolo gorini

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