Sehnsucht (quasi una lettera di Natale)

A Francesca, nel giorno in cui scoprì la neve

di Saverio D’Eredità

I tuoi occhi sono tristi, ma sulle tue guance il sole ha disegnato due mele rosse. Per guardarti negli occhi ho appoggiato anche io la testa sul tavolo, come si faceva da bambini quando volevamo riposare dopo i compiti. Ma li ho visti bene prima, i tuoi occhi, con quella luce che si accende e sembra venga da stelle lontane. Mentre infilavi gli sci ai piedi e lasciavi le tavole scivolare dapprima piano, poi sempre più veloce e non avevi paura. Ho sempre detto che lo sci, in realtà, è gioco per bambini.
Sei stanca, ora. Lo posso sentire dal peso del tuo corpo che si rilassa man mano. Conosco questa stanchezza, che è quella più bella, e più dolce. Ti prende quando restituisci alla vita un briciolo di quello che ti ha donato. Ed ogni cosa par tornare al suo posto, ogni cosa ha un senso e le domande trovano la risposta come le onde trovano la riva. Dormi, ora, dormi sogni di neve.
“Papà, ho nostalgia della neve” mi hai detto, prima di chiudere gli occhi. Hai solo tre anni e già vedo in te i sintomi di questa malattia.

Perché fa quest’effetto, la neve. E per quanti anni e quante stagioni e quanti fiocchi vedrai cadere, per quante scie potrai lasciare dietro di te, ti porterai dietro questa mancanza. La nostalgia è la malattia del ritorno.
Guarda me, ora. Sono qui con te, la testa appoggiata al tavolo e un orizzonte di montagne si riflette nei miei occhi. Non pensavo forse la stessa cosa ieri, prima di svalicare la forcella stretta tra le ombre? Lontane, dall’altra parte della valle, le pareti della Tofana brillavano nel sole. Quante volte, nei momenti di sosta su quella parete, ho osservato distrattamente le linee spezzate di questi canali, sognando la quieta armonia della neve, del suo rumore che pare simile ad un respiro? Desiderando i giorni della luce breve, in cui una pace pare improvvisamente scendere sulle cose mentre il mondo piano piano si spegne. Ed oggi, a rivederla dall’altra parte, quella parete, anch’essa manda il suo richiamo di infiniti giorni d’estate.

Siamo funamboli che camminano su questa corda stesa tra le stagioni. Desideriamo sempre ciò che non abbiamo. Non riusciamo quasi mai a raggiungerlo, men che meno a spiegarlo. Si chiama mancanza o desiderio. O forse meglio sarebbe dire “desiderio di desiderare”. Quando non lo proviamo, ci sentiamo spenti. In tedesco c’è una parola che lo definisce: “Sehnsucht” ed è il desiderio di infinito.
Non sarò io, piccola, a darti la medicina per guarire. Guarda me. Cerco quell’istante inafferrabile, lo cerco nelle curve malfatte sulla neve, lo cerco in ogni cristallo cui chiedo di darmi risposte che non merito. Le mie tasche sono vuote, il mio passo incerto.
Dormi ora. Profili di mille montagne scorrono davanti ai tuoi occhi socchiusi. Posso riconoscere la traccia dei miei passi, ma questo compito è ingrato: presto per noi sarà l’ora di avviarsi sulla strada del ritorno. Ma non ti preoccupare, il tempo è dalla tua parte.

Dormi ora, dormi sogni di neve. Non porterai memoria di questo giorno, come dei miei abbracci. Forse ci capiterà di ricordarlo, ma io sarò solo un noioso collezionista con il suo album dei ricordi e tu dopo un po’avrai altro cui pensare.
Eppure ne sono certo, da qualche parte dentro di te conserverai questa nostalgia. La neve ci ricorda che qualcosa rimane, da qualche parte, della nostra innocenza. Che qualcosa di bello può ancora accadere. La neve, oggi, mi ricorda che sei tu la domanda cui ogni giorno cerco di rispondere.

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