di Saverio D’Eredità
C’è una guida che, a vederla oggi, pare invecchiata di 100 anni eppure rappresenta ancora un orizzonte possibile nel modo di fare scialpinismo. L’idea che questa disciplina (sport?arte?) potesse spingersi oltre il “raccomandabile”, l’adatto, in altre parole l’ordinario e aprire le porte all’inusuale, l’osabile, l’incerto. Scialpinismo di frontiera di Sani non è solo una guida per scialpinisti “spinti”, magari esigenti o ancora ravanatori alla perenne ricerca della fatica come via di espiazione, ma è anche uno stimolo a pensare diversamente questa straordinaria sintesi di passione, intelligenza, tecnica e “istinto animale” che è lo scialpinismo. Oggi forse quell’edizione che sa tanto di piccolo vangelo da catechismo, poco patinata e con foto bianco e nero, pare improvvisamente appartenere ad un’altra epoca. Come alcuni degli itinerari che vi si trovano; non percorsi da “spuntare”, semmai da immaginare. Non tutti, infatti, sono sempre fattibili: per molti bisognerà accontentarsi di condizioni discrete, ma proprio questo ne accresce il fascino.

In quella guida la salita alla Cima Bagni per il Canalone Witzenmann-Oppel conserva un posto speciale. Non solo perché bella, perché difficile o perché impressionante. Quanto piuttosto per l’idea che rappresenta: di quello scialpinismo “di frontiera” che non vuole dire necessariamente estremo, ma che si colloca ai bordi, in una zona a cavallo tra una concezione classica dello sci e una che si vorrebbe dire evoluta se non suonasse elitario. Frontiera come confine, ma anche punto di contatto tra la componente sciistica ed alpinistica, là dove queste si contemperano, senza prevalere una sull’altra. Lo sci come mezzo. Lo sci come chiave di lettura per una (ri)scoperta.

Non è estremo nel senso di “difficile”, ma nell’idea di portare gli sci su quelle banche sospese, tagliate da imbuti che paiono vortici sempre lì aperti come bocche affamate. O nel penetrare quel budello senza speranza che invece riserva angoli accoglienti. O almeno, alla fine li apprezzi come tali.
Non è per tutti, certamente. Non lo è stato per noi. Ma non rimane rimpianto, né senso di incompletezza. Anche se gli sci sono rimasti ad aspettarti lì, come sentinelle di guardia su quella pinna protesa. In fondo tu hai portato loro fin lì, e loro – in qualche modo – sapranno riportarti giù. Uno scambio onesto. Il resto è rimasto nel campo dell’osabile, forse possibile. Di frontiera, appunto.

Cima Bagni – mt.2983
Canalone Witzenmann-Oppel
La Cima Bagni è una montagna con la M maiuscola: colossale, imponente, complessa nelle sue ramificazioni. Eppure è un re senza corona. 17 metri alla fatidica quota 3000 la fanno uscire dai ranghi della nobiltà. Ciononostante si impone su tutte le cime dell’Alto Comelico con la sua mole notevole. Di sicuro non è montagna dove viene naturale pensare allo sci. Se non fosse per il corridoio naturale che è il canalone Witzenmann Oppel, il quale taglia la parete nord ovest della Cima Bagni e permette di arrivare in maniera molto diretta sotto la cupola sommitale. Originariamente nota come una delle poche “vie di ghiaccio” in Dolomiti oggi lo è di più come meta scialpinistica, decisamente ambita e per palati esigenti. La discesa integrale con gli sci non è per tutti, ma rimane pur sempre una meta alpinistica di valore che ripaga la fatica e la pazienza nel sapere attendere le condizioni migliori.
Dislivello:mt. 1415 dal Rif.Lunelli, quando la strada non è sgombra dalla neve si parte dalle terme di Valgrande (mt.1300 circa) o fin dove possibile parcheggiare.
Difficoltà: 5.1/E3 (la parte alta, E2 dalla spalla) – 40°/45° brevi tratti a 50°
Dal rifugio Lunelli (mt. 1568) si sale lungo la traccia del sentiero estivo verso il pianoro dove sorge il Rif. Berti.Raggiunto il bordo del pianoro, senza toccare il rifugio si inizia a salire per i bei pendii alla base dei campanili del Popera verso l’imbocco nascosto del canale, che si intuisce proprio sulla verticale dei Campanili. Il canale mantiene pendenze sostenute tra i 40° e i 45° con un breve tratto a 50° per circa 250 metri. Fuori dal canale principale si rimonta un sistema di canalini secondari affacciati sul versante ovest che conducono ad un’area spalla. Qui, dove il gioco sembra finire, si apre il noto “imbuto”, un colatoio molto ripido sospeso su salto vertiginoso. Lo si attraversa e si risale il seguente scolo fino ad un’altra crestina, dalla quale con lunga diagonale meno ripida ma in costante esposizione si raggiunge la dorsale che porta sull’affilata cresta sommitale. La discesa con gli sci da qui richiede tutte le condizioni ottimali possibili: capacità tecniche, manto nevoso stabile e concentrazione massima almeno per i primi 150 metri. Una volta riattraversato l’imbuto e tornati alla spalla (in molti iniziano da qui la discesa con gli sci), la discesa rimane sostenuta seppur meno impegnativa.


