Le potenti creste della Cima dei Preti

di Saverio D’Eredità

Potenti le creste della Cima dei Preti! Da qualunque parte abbia osservato questa montagna due aspetti hanno sempre catturato il mio sguardo. Le sue grandi creste e le inconfondibili lastronate calcaree del versante nord est. Le prime non sono semplici linee spartiacque, ma possenti nervature che risalgono al vertice della vetta come spine dorsali di colossali draghi cristallizzati nell’atto del salire. Ogni volta che ho provato a misurare gli sviluppi mi sono scontrato con gli inganni delle prospettive e della profondità delle loro radici, affondate nelle valli invisibili. Le imponenti lastronate inclinate ne accentuano invece le drammaticità, lasciando sempre spiazzati circa la loro reale inclinazione e conferendole un tono quasi enigmatico.

“I Preti” come vengono confidenzialmente definiti, rientrano in quel genere di montagna che sprigiona energia dalle sue viscere. Potresti sentire le vibrazioni della materia stessa poggiando l’orecchio sui suoi fianchi. Visibile da grandi distanze e ciononostante colpevolmente ignorata, compete a testa alta con l’eleganza del dirimpettaio Duranno e sorveglia con autorevolezza la conca di Cimolais. Eppure, dopo averla riconosciuta e additata sempre con una punta di stupore (“ma quello?cos’è? Non sarà mica la Cima dei Preti!”) solo quest’estate è arrivata la rivelazione, rientrando con il solito passo da coda dalla conca ampezzana. Magnifiche nella luce del tramonto, le cime dei Preti si opponevano con grande fierezza e irresistibile attrazione alle Dolomiti più note, incorniciando l’altro lato di uno degli orizzonti alpini più noti. Come si fa ad ignorare i Preti?

 

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Le grandi lastronate nord est della Cima dei Preti – foto N.Narduzzi

 

Già da anni la lacuna si faceva sentire e aspettavo l’occasione per colmarla. Occasione che arriva nella più classiche delle ottobrate dall’aria nitida e i cieli tersi. Giornate quanto più preziose quanto più vicine all’ormai imminente cambio stagionale e così, quando alla ricerca delle “sensazioni profonde” che sanno dare le Dolomiti d’Oltre Piave Nicola suggerisce la Cresta del Checco, la tentazione si fa forte.

Pur non facendo capo direttamente alla cima principale la Cresta del Checco è considerata la seconda grande cresta dei Preti, convergendo da est-nord-est sullo snodo della Cima dei Cantoni e proseguendo idealmente attraverso la Punta Compol alla vetta. Forse non elegante ed estetica come la cresta nord lungo la quale corre la celebre via dei Triestini, questa dorsale la supera però in imponenza. La sua profondità è impressionante e di fatto la sua lunga nervatura pare sorreggere sin dalle fondamenta la montagna stessa. L’andamento è speculare a quello della cresta nord, con la successione di cime inclinate alla stessa maniera che riescono a dare una sorta di movimento armonico ad quadro ben studiato.

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Sguardo indietro, lungo la cresta – foto S.D’Eredità

Come molti percorsi d’Oltre Piave sono stati i cacciatori i primi alpinisti inconsapevoli. Non si sbaglierebbe a dire che, almeno fino alla caratteristica punta dentellata denominata appunto “del Checco” in memoria di un cacciatore locale, la cresta è stata senza dubbio già percorsa in epoche “pre-alpinistiche”. E come molti percorsi di questi gruppi la riscoperta è avvenuta solo in tempi relativamente recenti. Per dire, era già stato salito il Cerro Torre e ampiamente consolidato il 7° grado prima che gli alpinisti si riaccorgersero di quanto terreno potesse ancora offrire le Alpi di casa.

Una storia strana, quella dei Preti. Di lunghi silenzi, ingenui equivoci e forestieri. Sull’onda delle descrizioni dei primi ambasciatori delle Alpi Orientali, ovvero Gilbert e Churchill, anche questa cima è stata oggetto delle ambizioni dei pionieri. Con la sola eccezione che i primi a salirla nemmeno sapevano dove si trovavano e che…l’ascensione è stata riconosciuta come prima appena 15 anni dopo! Stiamo parlando della prima dell’inglese Holzmann accompagnato dalla nota guida Santo Siorpaes, già primo a toccare la vetta del Duranno, i quali raggiunsero quella che credevano essere la Cima Laste. E dopo il tentativo degli udinesi Ferrucci e Luzzatto, ci volle l’intervento di un terzo uomo, il prof. Diener di Vienna per dipanare la matassa e attribuire nomi, prime ascensioni e riordinare i toponimi. Senza che egli avesse mai nemmeno visto quella montagna!

Insomma, ce n’è abbastanza per un intricato intreccio storico-alpinistico, ma ciò che sorprende è il silenzio. Non solo quello, penetrante, dei luoghi. Quanto quello degli alpinisti che talvolta non sembrano vedere ciò che è evidente sotto i loro occhi. E così superata la prima esplorazione sarebbero seguite solo comparse sporadiche, quali appunto quella dei triestini e degli sloveni (che percorsero il ramo sud-orientale della cresta che fa capo alla Cima dei Cantoni) negli anni ’30 fino ad arrivare addirittura agli anni’ 70. E’ infatti nel 1975 che la cordata Altamura e Gilic (per inciso: un milanese e un istriano con la vocazione dell’Oltre Piave) sistematicamente esplora questo “cantone” dei Preti e riprende la Cresta del Checco completando anche la salita delle lastronate terminali. Ancora una volta dei forestieri, quindi si fanno promotori di questa esplorazione discontinua, ora intensa, ora silente. Perché da queste parti, alpinisti lo si è davvero per vocazione. Quasi che per accettare certe fatiche improbe e talvolta senza gloria si debba compiere una specie di voto. Mentre altrove ci si insinua tra appigli mai toccati in una selva di linee, qui facilmente si riscopre quanto complicato possa essere anche solo camminare su terreni mai battuti dal piede. E lasciandosi dietro una lunga cresta sorprendersi nel godere anche solo di alcuni passaggi di secondo grado…

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Punta Compol, dalla normale della Cima dei Preti – foto S. D’Eredità

Si potrebbe spendere qualche parola in più su un certo “alpinismo d’oltre Piave” la cui sostanza si sposa con il carattere di queste cime. Ciò che le rende a loro modo insostituibili è proprio quel senso di “lontananza” che le ammanta. Una lontananza che non si misura tanto nella distanza dai punti di appoggio, quanto dall’essere remote in un senso più ampio e profondo. Una volta intrapreso il primo passo fuori dai terreni battuti si percepisce nettamente il passaggio a dimensioni quasi ancestrali.

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Cresta del Checco – foto S. D’Eredità

La mattina è fresca e invita a scaldarsi con un buon passo. Penetriamo il bosco di faggi con grande ottimismo e passo lesto. Salutiamo gli incroci con la Valle di Santa Maria e la Val di Frassin per addentrarci in Val dei Cantoni. Qui si abbandona il sentiero segnato, si segue per poco una traccia più esile ed infine, ad uno scolo di ghiaia piuttosto marcato decidiamo di lasciare definitivamente la strada segnata per affidarci all’intuito. Ecco fatto dunque il “passo”. E’ percepibile il distacco dalla sicurezza delle tracce e dei segni al terreno aperto: una particolare euforia, mista a timore pervade, riportando indietro l’orologio a tempi pionieristici. Le erbe alte del sottobosco sembrano quasi richiudersi alle nostre spalle, come il bosco di Alice. Da dove veniva la nostra traccia? Appena un istante dopo, non avrei saputo dirlo.

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Cresta del Checco, sullo sfondo la Cimoliana – foto N.Narduzzi

Sono appena le 9 e già possiamo cavalcare il drago. Fin qui siamo arrivati assecondando ora scoli di ghiaia, ora traccia del tutto ipotetiche, ora la sequenza di rampe diagonali che danno movimento all’intero versante. Per rimanere nelle atmosfere di “Alice nel paese delle meraviglie” mi viene da paragonare l’inesauribile Nicola di oggi al Bianconiglio. Ora che mi pare di averlo preso, già riparte.

Di punta in punta risaliamo la china, scartando ora a destra ora a sinistra alcuni torrioni e le punte più esili. Attraversare le creste par quasi un gioco ora divertente ora perverso. Ogni ostacolo superato ne propone uno successivo, e per gli errori di prospettiva finisco regolarmente per indurmi in errore. Pare quasi che la montagna stessa si rigeneri ad ogni passo, o che il drago, muovendo impercettibilmente il dorso ci inganni. A destra e a sinistra è un susseguirsi di scorci e momenti di contemplazione cui non ci si può abbandonare mai del tutto. Decisamente perverso il gioco delle creste.

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Ormai prossimi a Cima dei Cantoni: si staglia la Cima del Checco – foto N.Narduzzi

Giunti sotto la Cima del Checco i radi segni che con nostra sorpresa indicano la strada ci portano a scendere decisamente in un canale ghiaioso che sbuca dal Cadin delle Ciazze alte. La perdita di quota indispone sempre, ma viene ripagata ampiamente dalla successiva risalita. Mettiamo finalmente mani e piedi sui grandi lastroni inclinati della Cima dei Cantoni e immediatamente si percepisce una incontrollabile euforia nel salire queste placconate immensi inclinate sul vuoto. Se esistesse una montagna infinita credo che vorrei scalarla tutta così! Seguendo la successione di scanalature guadagniamo presto la cresta e con un ultima passeggiata sul filo a lama tocchiamo Cima dei Cantoni.

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Diedro inclinato sotto la Cima dei Cantoni – foto S.D’Eredità

“Caro Nicola, adesso ti tocca portarmi sulla Cima dei Preti…non mi avrai fatto mica correre per niente!” La sera prima ci eravamo fissati come tempo-limite le 12.30 sulla Cima dei Cantoni. Oltre quell’ora avremo preso la discesa diretta da Forcella Compol. Ma pare veramente un delitto sprecare un tale ben di dio di ore di luce a disposizione a fine ottobre. Nicola amaramente rinuncia al pranzo a Cimolais e si dirige con il solito passo da “Bianconiglio” sulla prosecuzione della cresta.

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Cima dei Cantoni – foto S.D’Eredità

Alle 12.30 siamo in cima ai “Preti”, accovacciati attorno al minuscolo Cristo delle vette e increduli delle distanze che riusciamo a percorrere con lo sguardo. San Vito di Cadore pare si possa toccare lanciando un sasso e all’estremità orientale occhieggia il Triglav. Oltre possiamo snocciolare tutta la nostra conoscenza geografica, ma arrenderci alla vista di distese glaciali oltre l’Adige. Ma ancora di più ci sopraffà il silenzio e toccare queste pietre ancora grezze, che sembrano esattamente quelle inconsapevolmente smosse dai primi pionieri o chissà ancora ignoti cacciatori come il “Checco” della nostra cresta. Più in là si distendono le altre Dolomiti, dalle Pale fino alle Tre Cime e penso che in fondo sia giusto così. Che i Preti mantengano il loro silenzio, queste pietre ruvide e i ghiaioni duri come marmo che ci strapperanno più di qualche bestemmia e grattugiata nel culo. Mantenendo spazio per un nuovo stupore.

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Duranno – foto S.D’Eredità

Godiamo dei raggi del sole quel tanto che ci poteva permettere una minima autonomia di calore, prima di calarci nell’ombra spessa del versante nord. Salutare il sole a Forcella Compol è quasi nostalgico. Il Duranno fluttua sereno sopra le nebbie che si alzano gradualmente dalle valli. Mi distacco ulteriormente prima di tuffarmi nell’ombra della val dei Cantoni.

La storia poteva anche finire qua, e il pomeriggio trasformarsi in una semplice passerella dal passo meno spinto, interrompendosi qua e là ad indicare una nuova cima o indovinando qualche bella linea di discesa con gli sci. In teoria sì. Tutto sommato ci trovavamo sul tracciato dell’Alta Via n.6 e potevamo anche allentare la tensione. In teoria. Di fatto la discesa non è meno ostica della salita, e nel traversare le interminabili placconate sotto la Forcella dei Cacciatori perdo spesso la linea esatta e il senso del tempo. I compagni sono scomparsi alla mia vista da un po’. Li ritrovo seguendo con l’orecchio un paio di imprecazioni e il rumore di scarponi che grattano la terra dura. Un nevaio inatteso colma la conca della Val del Drap, accentuato da un vistoso crepaccio e dalla linea di frattura nel mezzo. Nicola sta cercando un improbabile passaggio tra la sponda ghiaiosa a destra e il bordo del nevaio, duro come marmo. La faccenda puzza di fregatura e pure di conclusione indecorosa della giornata. La bocca spalancata del crepaccio non pare amichevole.

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Luci serali sugli Spalti di Toro – foto S.D’Eredità

Il vantaggio di essere ultimi è quello di poter osservare la situazione come un generale le truppe. E osservando le mie suole ridotte ad una sottiletta credo che difficilmente potrò passare indenne il tratto di misto terra-ghiaccio. Azzardo una risalita sperando di poter passare non a lato, ma a monte del nevaio, dove la crepaccia si alza come un’onda nell’atto di infrangersi. Urlo a Nicola di tenermi d’occhio: non vorrei fare la fine di Otzi…

Nell’affacciarmi al bordo della crepaccia lo stupore è grande, ma ancora di più la punta di autocompiacente soddisfazione nell’aver trovato un passaggio facilissimo senza sporcarsi le mani. Passo in una fantastica galleria tra il muro del nevaio e quello della parete, come un piccolo Mosè. Sto già sogghignando e preparando qualche sarcastica osservazione sul privilegio di essere ultimi, quando l’esile ponte di ghiaia con il quale sono appena riuscito a superare l’ultima passaggio frana dietro ai miei piedi. Come stamattina, dietro di me il passaggio si richiude…

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Sguardo verso i monti dell’Alpago – foto S.D’Eredità

Relazione 

Cima dei Preti m.2709

Per la cresta Est-Nord-Est della Cima dei Cantoni

Primi salitori: cacciatori locali fino alla Cima del Checco, quindi V.Altamura e S.Gilic 10/9/75

Difficoltà: I,II, pp. III-

Dislivello totale: 2060 mt.

Entusiasmante salita in ambiente selvaggio e grandioso lungo una delle creste più importanti del gruppo. La cresta si innalza dalla forcella Ciadinut di Tarsia e prosegue con numerose elevazioni (l’ultima delle quali è appunto la “Cima del Checco”) saldandosi in ultimo con la Cima dei Cantoni che raggiunge per il bordo delle placconate Nord. Da questa possibile proseguire attraverso Forcella Compol e dei Cantoni agganciando la normale da sud alla Cima de Preti. Sulla cresta alcuni bolli rossi aiutano nell’orientamento, alcune calate (evitabili con brevi disarrampicate di II) sono attrezzate. Percorso molto lungo e faticoso, ma appagante nel complesso, che pone alcuni problemi di orientamento solo nell’avvicinamento alla forcella Ciadinut di Tarsia, quindi evidente in cresta. Roccia nel complesso solida dove è necessario arrampicare, ottima nella parte finale

Dal Parch. di Pian Fontana si guada il torrente e si segue il segnavia 356-390 che si inoltra nella vall. Abbandonare la traccia che entra in valle s.Maria, e seguire il 390 inoltrandosi nel bosco. Tralasciare la traccia per Dosso Nadei  a sx e a quota 1183 quella che sale in val di Frassin a dx (masso con scritta sbiadita – Val dei Cantoni) Proseguire brevemente per esile traccia fino all’incrocio con uno scolo di ghiaia. Si abbandona la traccia e si sale per il canale faticosamente per circa 400 mt dove piega decisamente a dx. Noi qui abbiamo abbiamo abbandonato lo scolo traversando a sx sotto un salto, scollinando una piccola spalla erbosa e scendendo in un canale parallelo. Risalitolo su placche rocciose (pp.II) lo abbandoniamo dopo circa 200 mt (la forcella Ciadinut è a sx ma difficilmente raggiungibile per la fitta mugheta) per montare sulla cresta con facili passaggi su roccia. Si tocca la punta quotata 1993 e la successiva 2071 su terreno facile. Giunti in prossimità di una sezione frastagliata con grandi massi in bilico si traversa sul lato destro della cresta, sfruttando una sottile ed esposta cornice di roccia ottima che permette di aggirare un torrione (II+). Giunti ad una forcelletta si risale faticosamente un’ampia dorsale che porta alla quota 2174. Si traversa ora sul fianco sx della cresta per cengette (rocce rotte, mughi, qualche bollo) aggirando un tratto affilato. Sopra un salto (ch. e cordino per doppia sul versante N) si può scendere a sx aggirando il salto con delicata discesa (II+) per canalino e quindi cornice che riporta ad una forcelletta sotto un tratto caratteristico della cresta, con placche inclinate. Si rimontano (I+) si tocca un’altra punta quindi ci si abbassa nuovamente sul versante sinistro con qualche facile passo di arrampicata giungendo sotto un altro salto attrezzato per doppia (non indispensabile: II). Ci troviamo ora davanti all’ultimo salto: la Cima del Checco. Si sale per una ventina di metri e da una spalletta si abbandona il filo di cresta calandosi a sx per un caminetto verso il canale ghiaioso che risale dal Cadin delle Ciazze Alte. Fare attenzione ai bolli! Sceso il caminetto, esposto (III-), si traversare a sx (faccia a monte) per cornici esposte interrotte da brevi muretti di roccia ottima scendendo gradualmente verso il canale. L’ultimo salto è il più impegnativo (III). Giunti sul fondo del canale ghiaioso (indicazioni su un masso) lo si rimonta fin quasi alla forcelletta che lo origina, tra Cima del Checco e dei Cantoni, quindi poggiando a sx sulle belle placche scanalate. Risalirle con arrampicata divertente su roccia ottima toccare una spalla, scendere ad un intaglio ed affrontare l’ultimo tratto, molto bello su roccia ottima e articolata seguendo una scanalatura marcata tra le placche (II; 1 p. III). Da ultimo un diedro appoggiato conduce in cresta. A destra per lama affilata e roccette si tocca Cima dei Cantoni (mt.2512) -ore 5.

Per la cima dei Preti: si scende a sud per canale ad un intaglio. Traversare a dx (ovest) per ghiaie a Forcella Compol. Risalire brevemente verso Cima Compol quindi traversare per placche esposte ma facili (bolli) in versante N raggiungendo Forcella dei Cantoni. Da qui per la normale da sud (bolli, traccia evidente) si attraversa il Cadin Alto e quindi la bellissima vetta (ore 1 dalla Cima dei Cantoni).

Discesa: Ritornati a Forcella Compol scendere a nord seguendo i segnavia dell’Alta Via n.6 (attenzione, terreno insidioso!). Giunti alla testata della Val dei Cantoni si risale brevemente a Forc.lla Cacciatori quindi per grandi placconate (pp. I/II) si cala di alta val del Drap dove un nevaio può creare alcune difficoltà. Lo si aggira o scende a seconda delle condizioni quindi si scende ad un prato macchiato di mughi e rododendri. Qui si ignora la traccia che risale a Forcella Val del Drap seguendo quella che cala a dx verso valle. prima lungo una dorsale con mughi e qualche salto di rocce quindi a sx in un canale che si segue fino al fondo dove la traccia si congiunge al sentiero che sale in Val dei Cantoni (indicazioni molto evidenti su massi). Seguire ora il sentiero in discesa ricongiungendosi a quello della salita, quindi a Pian Fontana (ore 3-3.30 dalla cima).

 

 

 

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