Chiamiamole montagne, per favore

di Saverio D’Eredità e Carlo Piovan

Agli uomini piace parlare della guerra per allontanare il momento dell’entrata in battaglia. Questa è una delle lezioni che si possono trarre dall’Iliade di Omero¹ e che ritroviamo in questi giorni. Gli uomini (intesi come genere maschile) di fronte ad un problema che li ha spaventanti e che li ha trovati spiazzati, hanno scelto di riesumare le parole della guerra come veicolo comunicativo con la comunità (italiana, nel nostro caso). Perché è sicuramente più facile segnare una linea per terra e dividersi in due fronti che valutare la complessità di un evento. Perché parlare della guerra, come ci ha insegnato il poeta Greco, rimanda il momento della battaglia in cui è noto che senza una strategia non si vince. Chissà che paradigmi sarebbero stati usati per affrontare il problema sanitario, se la presenza femminile nelle varie task force governative, invece di essere in netta minoranza, fosse stata perlomeno pari agli uomini. Si sarebbe parlato ancora di guerra? Continua a leggere

Michele dalla Palma – 2 ottobre – Venezia

Giornalista e fotografo, esploratore e grande viaggiatore, ha realizzato molte spedizioni e centinaia di reportages, in ogni continente, per la stampa italiana e internazionale; Direttore Responsabile della rivista TREKKING&Outdoor.

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Atleta professionista nello sci alpino, maestro di sci ed ex-Istruttore Nazionale FISI, guida AIGAE, ex-istruttore di alpinismo e scialpinismo del CAI, dalla fine degli anni ‘70 si è sono dedicato alle scalate sulle grandi montagne del pianeta, organizzando numerose spedizioni in tutto il mondo, dall’Himalaya alle Ande, dai deserti africani alla Patagonia e alla Tierra del Fuego. Tra le imprese più importanti la partecipazione nel 1984 alla salita del Makalu (8481 metri), quinto gigante del pianeta; importanti salite sulle Ande peruviane e prima salita dell’inviolata parete ovest del Pisco (1985); prima ascensione solitaria alla parete nord del Nun, 7135 metri nel Tibet Occidentale (1986), Nel 1987, con Alberto Salza ed Enzo Maolucci ho compiuto la traversata integrale della Suguta Valley, 370 chilometri a piedi in autosufficienza nel Grande Rift africano tra il Kenya e l’Etiopia, uno dei luoghi desertici più ostili del pianeta.
Nell’inverno 2006 ha attraversato la Siberia da Vladivostok agli Urali e nell’autunno dello stesso anno ho compiuto una delle prime traversate integrali della Dancalia, nel Corno d’Africa.
Nel 2007, con 4 amici americani e un cacciatore Innuit, ha percorso, in un mese di totale isolamento e autosufficienza, oltre 400 chilometri in canoa in una delle ultime zone inesplorate dell’Alaska, fino al Mar Glaciale Artico.

http://www.micheledallapalma.it/www.micheledallapalma.it/HOME.html

Venezia in quota

Prima edizione della nuova rassegna autunnale promossa dalla sezione del CAI di Venezia e dal Gruppo Rocciatori Gransi, che come ogni anni invita nomi illustri e abili narratori, legati al mondo della montagna.

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Due appuntamenti da non perdere

Michele Dalla Palma: uomini e montagna
Martedi 2 ottobre, 2018 ore 20.30

Alessandro Beber: Dolomitiche opere d’arte a cielo aperto
Giovedì 8 novembre, 2018 ore 20.30

Teatro ai Frari, Calle drio l’archivio,
San Polo 2464 Q, Venezia

Entrata libera

caivenezia.it / gransi.it

 

L’atlante delle montagne

di Saverio D’Eredità

Vinsero quindi le ombre. Finiva lì, appena sotto il tetto che segnava l’occhio della Sfinge la nostra rincorsa all’ultimo giorno d’estate. Avevamo cercato la luce, senza mai trovarla, scalando i muri grigi e compatti della Sfinge. La parete basale, altissima e verticale, sembrava non finire mai. Alzando gli occhi non vedevamo che uno sconfortante ciglio di mughi e non altro che lavagne grigie ai nostri lati. Come se la montagna quel giorno non avesse cima. Della luce del giorno, terso ed immobile, potevamo osservarne solo il riflesso, quando illuminava ora il profilo destro ora quello sinistro della “faccia” senza mai riuscire a rivelarne completamente il volto.

Assaporai, seppur malinconicamente, i metri finali di quel diedro liscio e squadrato, sapendo anche che sarebbero stati gli ultimi per quel giorno, e forse per tutto il resto della stagione. Una domanda sarebbe quindi rimasta sospesa, sotto quell’occhio muto e al termine del nostro giorno irrisolto. Scoloriva il giorno all’orizzonte, la pietra facendosi man mano fredda. Non avevamo più fretta. Il buio ci avrebbe sicuramente ripreso sulla via del ritorno. Quando tornammo al rifugio la Sfinge sembrava inghiottita dalla notte. Continua a leggere