Alpi Carniche e Giulie Considerazioni di un alpinista qualunque

di Nicola Narduzzi

Per oltre 80 anni le guide della collana Guida dei monti d’Italia, edita congiuntamente dal Club Alpino Italiano e dal Touring Club, hanno rappresentato il più completo e metodico repertorio di conoscenza del territorio d’alta montagna del nostro Paese.

Nella nostra regione sono passati 42 anni da quel lontano 1974 quando, per la prima volta, faceva la sua comparsa quella che sarebbe diventata la guida di riferimento per le Alpi Giulie nei decenni successivi: la mitica guida CAI-TCI di Gino Buscaini. Questo volume, il 25° della Collana Guida dei Monti d’Italia, descriveva con un approccio enciclopedico le Alpi Giulie italiane e slovene, passando dai semplici sentieri fino alle allora nuove realizzazioni di leggende dell’alpinismo come Piussi e Cozzolino. Nei decenni successivi la collana fu estesa alle Alpi Carniche, con i due volumi realizzati secondo lo stesso approccio da Attilio De Rovere e Mario Di Gallo nel 1988 e 1995.

Oltre vent’anni sono ormai passati dalla pubblicazione di quell’ultimo volume, più di quaranta dalla guida di Buscaini. Tutte queste guide, seppur ottime, risentivano perciò del passare del tempo: per l’apertura di nuovi itinerari, per il mutare delle esigenze di informazione dei frequentatori della montagna (escursionisti ed alpinisti), ma anche e soprattutto per un cambio di mentalità ed approccio alpinistico alle montagne. Significativo, ad esempio, è il caso del monte Robon, nel massiccio del Canin, definito da Buscaini “senza importanza alpinistica”: in seguito all’avvento dell’arrampicata sportiva, tali pareti sono state rilette in chiave moderna diventando una piccola mecca per l’alta difficoltà. Basta ricordare itinerari come “La bellezza non conosce paura” di Sterni o la più recente “Liberi di scegliere” della coppia Gorobey-Polo, vie attrezzate con spit rigorosamente dal basso, lontane anni luce dal poter esser definite vie “da falesia” e riservate ad una ristretta élite di fortissimi arrampicatori.

Per questi motivi, perciò, da tempo in molti sentivano l’esigenza di un aggiornamento e l’occasione è arrivata nel 2015 quando, dalla collaborazione tra il CAI e la casa editrice Alpinestudio, è nata la collana “Il grande alpinismo sui monti d’Italia”. Un insieme di 15 volumi per coprire l’intero arco alpino e fornire una versione aggiornata e rimodernata delle guide CAI-TCI, ripartendo dall’estrema porzione orientale dell’arco alpino proprio con il volume “Alpi Carniche e Giulie”.

Penso di essere stato tra i primi ad avere il piacere di sfogliare la nuova guida. Appena ricevuta l’ho letta da cima a fondo, valutandola con occhio critico ma anche lasciandomi guidare in un lungo viaggio attraverso le nostre montagne, scoprendo itinerari e perfino pareti che prima non conoscevo. Due cose mi hanno profondamente colpito.

La prima è la capacità descrittiva degli autori. Grazie alla loro profonda conoscenza delle nostre montagne, derivante da un’esperienza alpinistica pluridecennale, hanno saputo cogliere non solo le caratteristiche alpinistiche, quindi “geologiche” di ciascuna parete, ma anche i peculiari aspetti degli ambienti unici in cui sono immerse, trovando motivi di apprezzamento anche in pareti dimenticate o trascurate dall’alpinismo

Il secondo aspetto che mi ha colpito si può riassumere con una parola: varietà.

Nello spazio geograficamente ristretto della nostra Regione convivono in maniera armonica le solari pareti immerse in contesti bucolici e le più fredde e buie pareti nord in ambiente tipicamente alpino; lisce lavagne di calcare con pareti quasi dolomitiche nelle forme; luoghi conosciuti e molto frequentati e altri sconosciuti ai più. Questa varietà di ambienti e, di conseguenza, di itinerari è anche quello che secondo me è il più grande punto di forza delle nostre montagne. Un caleidoscopio di possibilità che la guida consente di apprezzare al meglio, pur abbandonando (come già spiegato) l’approccio enciclopedico delle mitiche guide grigie CAI-TCI. Un approccio ormai irriproducibile anche e soprattutto vista la necessità di fornire al pubblico un’informazione verificata, alternativa all’informazione globale, ma non garantita del web.

Negli stessi gruppi montuosi, o addirittura sulle stesse cime, è possibile quindi scegliere tra e vie classiche e frequentate e delle facili vie normali, al limite tra alpinismo e il cosiddetto alto escursionismo; tra ampi settori attrezzati in ottica sportiva e vie a spit più esigenti attrezzate con parsimonia, banco di prova per i più forti arrampicatori della regione e non solo; tra le brevi e piacevoli scalate per le mezze giornate e le leggendarie vie sulle grandi pareti, vere pietre miliari della storia dell’alpinismo regionale e non solo. In questo approccio, che va oltre la mera descrizione di vie preconfezionate ad-hoc, viene considerato quindi anche il carattere ambientale e storico degli itinerari. Chi saprà leggere con attenzione, potrà quindi scoprire diversi aspetti affascinanti della ricca storia alpinistica della nostra regione.

Si potranno trovare perciò ottimi spunti per riscoprire delle montagne di certo aspre e misconosciute, ma che sanno offrire delle emozioni uniche a chi cerca un’alternativa alla confusione e all’omologazione delle cime più blasonate. Non quindi una selezione per l’alpinista “medio”, concetto che nell’epoca moderna assume connotati sfumati e variabili a seconda dell’ambiente. Bensì un insieme di vie in cui tutti gli alpinisti ed arrampicatori, indipendentemente dalla bravura ed esperienza, potranno mettersi in gioco seguendo quelle strade non convenzionali che costituiscono il cuore pulsante dell’alpinismo.

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