Le montagne di Kugy

di Saverio D’Eredità

Scendemmo nel pomeriggio ormai tardo per le pietraie riarse della Velika Dnina, lungo una linea diretta di ghiaioni veloci e rullanti. Sostammo quindi in prossimità di grossi massi quando diventò impellente l’esigenza di svuotare le scarpe delle miriadi di sassi raccolti nel cammino.

Eravamo proprio sotto la verticale della pareti rossastre della Skrlatica. Uno di questi massi su cui ora sedevamo cercando di asciugare il sudore era probabilmente rotolato dalle pareti soprastanti e nella sua corsa folle, schiantandosi, frantumandosi in miriadi di frammenti aveva infine esaurito la sua inerzia qui, sul bordo del ghiaione, la dove timidamente erbette sottili e fragili cespugli tentavano di colonizzare la conca sassosa. Il masso sembrava segnare il passaggio tra il desolante mondo delle pietraie d’alta quota e quello vegetale della parte inferiore del vallone, dove s’affollavano chiassose macchie di mughi.

D’un tratto un gioco di nubi creò un effetto inatteso. La luce tagliente del pomeriggio inoltrato venne sovrastata da una nube spessa e nera. Le rocche dell’Oltar si adombrarono di colpo, mentre l’alto circo della Velika Dnina si accese sottolineando ogni contrasto, rendendo vive le forme, le pietre persino.

Discesa lungo la Velika Dnina_foto S D Eredita
In discesa lungo la Velika Dnina

Eppure lassù, certe minuscole piantine resistono. Sono cuscinetti minimi, eroici e coloratissimi. Quasi sfrontati nel volere apparire, punteggiati di rosso, di violetto, di blu. Quasi presuntuosi nel volere a tutti costi vivere, sentinelle coraggiose del mondo vegetale. Sono i cespugli della Triglavaska roza, il fiore di Zlatorog che solo resiste quassù, cui basta una manciata di terra per farne una vita.

Percorrere questo vallone sospeso, cullato tra pareti ora compatte, ora rovinose, mi ha sempre rimandato a tempi ormai scomparsi. La prima volta, addentrandomi senza uno straccio di carta e solo una fila di ometti davanti, ebbi una minima percezione dell’alpinismo dei pionieri, quando anche seguire una traccia di sentiero era di per sé un’avventura. Non conoscevo all’epoca il Martulijek se non come una promessa di mondi fantastici. Nomi impronunciabili, piccoli bivacchi segnati su una carta senza sentieri per accedervi erano di per sé delle premesse entusiasmanti. Eppure vedendolo da lontano pareva quasi un castello diroccato ed in rovina. Ed in effetti le sue pareti devo dire son tutt’altro che monoliti. La roccia cede ovunque. Sembra ricacciare in basso verso il fondo del ghiaione. I fianchi scoscesi anch’essi difendono le falde dei monti dove sembrano potersi arrampicare solo larici acrobati. Quella prima volta, sulla vetta dell’Oltar ricordo di essermi sentito lontano, molto lontano dal fondovalle.

Sono tornato oggi con Joze, Tanja e Spela per ritrovare certe tracce perdute che ci riconducessero a quel mondo antico, al tempo di Kugy e delle sue guide. Li ascoltavo commentare e discutere ora di nomi di piante, ora della conformazione delle rocce e persino credo di qualche buona gostilna. Talvolta sollevavano lo sguardo, osservando da lontano il profilo di un monte, le sorelle Moistrovke come il torvo Prisojnik e per ognuna di esse c’era uno sguardo appassionato, o un sospiro o un ricordo. Ammiro questo rapporto con le montagne che accumuna gli sloveni, un rapporto amorevole, che forse è proprio un lascito dello spirito di Kugy.

Sosta contemplativa dal sentiero Chersi verso il Montasio
Sosta contemplativa dal sentiero Chersi verso il Montasio

Tanto si è scritto su Kugy, ed in particolare sul suo mito. Ma come è noto, spesso i miti sono svuotati da coloro che li santificano o li venerano. Così di Kugy, del suo alpinismo, ci rimangono  suppellettili o feticci. Il mantello di loden, la pipa, il fuoco dei bivacchi e un certo romanticismo ingenuo. È cosi che i miti, sgretolandosi, perdono man mano significato. Tornare sulle tracce di Kugy per raccogliere non tanto gli itinerari più famosi ma per cogliere un certo spirito dei tempi ha significato, soprattutto, rileggere le sue pagine con occhi nuovi, per certi aversi adulti e smaliziati. Quelle pagine che ci restituiscono un alpinismo che, a differenza del comune credere e comune sentire, nasconde un’attualità inattesa.

Mi piace definire l’alpinismo di Kugy come un alpinismo “puro”, nel senso originario del termine che deriva da fuoco: un alpinismo netto, pulito, privo di contaminazioni. Innocente, forse. Ritornare su questi antichi passaggi è significato rendersi conto di quali sia il significato di questa purezza. Di questo “andar per monti” cercando solo le linee naturali, i varchi indicati dalla montagna e letti attraverso gli occhi degli uomini.

Troppo spesso ci siamo soffermati all’immagine dello “zio Giulio” che scuote la testa davanti alle acrobazie degli alpinisti moderni, del rifiuto categorico del chiodo, della strenua resistenza ad ogni forma di contaminazione. Eppure fu lui ad indicare ed incoraggiare le nuove leve dei triestini, da cui tutta una generazione prese vita e gli fu riconoscente. E nell’aborrire i mezzi artificiali non era forse in lui riconoscibile una intransigenza che pure oggi vogliamo ammirare nei campioni dell’alpinismo moderno e nelle regole che – pur non imposte, ma scelte – li inchiodano al rispetto di un’etica comunque relativa?

Quel rifiuto forse intransigenza non era. Semmai coerenza. Perché da un uomo così innamorato non poteva certo sorgere un compromesso. Rifiutare i mezzi artificiali non voleva dire essere conservatori, ma semplicemente coerenti con una scelta ed un amore. In fondo Kugy rifiutava ogni forma di manipolazione, fosse essa intellettuale o tecnica. Avrebbe voluto lasciarci le montagne nude come allora, come questo ghiaione intatto, come queste crete instabili che ci sovrastano. Le abbiamo invece riempite di targhette commemorative, eretto cartelli, imbandito cerimonie. È questa la purezza che intendiamo?

Sulle cenge del Fuart
Sulle cenge del Fuart

Abbiamo ripercorso le montagne ripercorrendo la sua vita, dalla prima scalata alla Škrlatica che segna, di fatto, la nascita dell’alpinismo in Giulie alla soluzione dei “problemi” dell’epoca, fossero essi la “via di Trenta” al Triglav come la Nord del Montasio passando per le invernali di cui fu precursore e specialista. Ma anche tanti “luoghi dell’anima”, salite minori eppure piene d’amore ed ammirazione. Dalle solari vette delle Madri dei Camosci ai profili ruvidi del Bavški Grintavec. Persino laddove Kugy fu, al più, uno dei primi “turisti alpini”, salite di cui non v’è traccia eppure il suo nome si tramanda come qui, sulla Velika Martuljška Ponca. Rendendomi conto che troppo spesso abbiamo confuso la “performance” con lo spirito dell’epoca e dei luoghi. Che senso avrebbe costruire tabelle comparative per una storiografia dell’alpinismo più che mai menzognera? Per dire forse che avendo appena sfiorato il quarto grado il suo alpinismo non era all’altezza dei grandi nomi dell’epoca?

Non ce ne sarebbe bisogno, Kugy lo sapeva benissimo. Ma saremmo in grado noi oggi di mantenere la stessa onestà, lo stesso rigore, la stessa etica?

Nuovamente abbiamo inteso il suo messaggio, oltre certe pagine forse troppo sognanti o troppo innamorate. Non avrebbe senso leggere con le parole di oggi. Abbiamo risalito i valloni, sostando su morbidi cuscini d’erba scrutando le pareti senza volere per forza scalare.  Abbiamo atteso i segnali e goduto la libertà di certi istanti. Ancora una volta ritrovando nelle parole di Kugy un inno all’essenza stessa dell’alpinismo che è poi nient’altro che amore incondizionato per la natura in ogni sua forma ed espressione. In questo senso si conserva, profondo, lo spirito romantico. Sarebbe da rileggere Kugy insieme alle poesie di Rilke o certi potenti versi di Keats. Nello stesso periodo dei suoi vagabondaggi, dall’altra parte dell’oceano Thoreau ed Emerson teorizzavano il ritorno alla vita selvaggia. Ci servono questi paragoni per comprenderlo?

Tramonto sulla nord ovest della Skrlatica - foto di T.Menegalja
Parete Nord Ovest della Skrlatica

Eppure noi “alpinisti” noi che andiamo per monti, talvolta ce ne dimentichiamo. Che se non ci fossero questi fili d’erba da sfiorare, queste pietre nelle nostre scarpe, se non ci fossero queste nuvole scure e il rombo sommesso di una cascata, tutto questo non avrebbe forse senso. Che tutti i nostri gradi, le nostre performance, le nostre regole autoimposte di quanti e quali mezzi usare, e in quanto tempo e in che stile…sarebbero semplicemente irrilevanti. Un pezzo di plastica destinato a scomparire.

Eppure lassù, qualche minuscolo fiore resiste. Erano forse questi i fiori che cercava Kugy, il mito della Scabiosa Trenta, del fiore che non esiste. Di una vita spesa a cercare un errore di traduzione.

Passa la nuvola oltre il ciglio del monte. Il vallone torna solitario ed immoto. Ci alzammo dai sassi, pronti a ripartire verso la fontana della Koča v Krnici e delle bottiglie di birra che galleggiavano nella bacinella. Le impronte dei nostri sudori si asciugarono rapidamente e scomparirono, non lasciando traccia alcuna di noi.

Le Montagne di Kugy – la guida

La guida “Le Montagne di Kugy/Kugyeve gore” è stata realizzata nel quadro del progetto di cooperazione transfrontaliera “JULIUS” finanziato dal programma comunitario “Italia-Slovenia”. La guida contiene 15 itinerari nelle Alpi Giulie Orientali ed Occidentali cercando di offrire una visione complessiva della traccia alpinistica di Julius Kugy nelle Giulie. Quasi a voler riproporre il suo percorso di vita, si è voluto mantenere un ordine il più possibile cronologico, selezionando i percorsi più significativi sia da un punto di vista alpinistico che storico. Accanto alle vie normali abbordabili per il semplice escursionista si sono accostati percorsi oggi facilitati da attrezzature e ferrate come anche vere e proprie vie di arrampicata e salite invernali. Il tutto per dare una visione completa del Kugy alpinista, il quale vedeva nelle montagne luoghi di contemplazione e ricongiungimento con la natura seppur aspra, piuttosto che “strutture per arrampicare” come egli stesso ebbe modo a dire. La guida, in italiano e sloveno, è disponibile gratuitamente presso i centri visite del Parco delle Prealpi Giulie a Prato di Resia e del Parco del Triglav a Bled.

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