Il futuro non è scritto – la corsa, Joe Strummer e la riscoperta del limite

di Saverio D’Eredità

Di base a me non piace affatto correre. Lo trovo noioso, mi fa sentire pesante, con le ossa pesanti. Quando corro me le sento una ad una, le ossa, e mi dico “eh, ma che ci vuoi fare hai le ossa pesanti” – e invece è quella frase fatta che ripetevo da bambino per giustificare la mia non esile corporatura. Anzi, siamo onesti: io proprio odio correre. Perché correre mi fa pensare troppo, specie sui lungoni delle strade di periferia. C’è tutta una folla di pensieri che mi entra ed esce di continuo, che non so tenere a bada, cui non so rispondere. Una volta mi son dovuto fermare, perché pensavo troppo.

Ma credo che ogni tanto sia salutare rimettere in discussione le proprie convinzioni e magari i preconcetti. E anche non prendersi troppo sul serio. Magari provando a cambiare completamente prospettiva. Spostarsi in un altro campo da gioco. Imparare nuove regole. Sarà stato per questo che circa un anno fa mi son detto: “sai che c’è? Il prossimo anno mi iscrivo ad una gara di corsa”. Io, che quando arrivo al km 5 ho già le scatole piene, io che quando mi girano le tabelle sui programmi di allenamento divento aggressivo e quando mi chiedono “quanto fai al km” cazzo, vengo alle mani.

Poi, ad essere sinceri, sono anche un pochino prevenuto. Ho visto troppi compagni di cordata prendere la strada delle gare, invaghirsi di questa cosa dei pettorali e del traguardo, delle ripetute e del passo medio e quindi fondamentalmente faccio un po’ come quelli cui sta sulle balle tutto quello che fanno gli ex-fidanzati. E se anche vado a correre lo faccio in maniera (volutamente) disinteressata, con le scarpe prese al Decathon dieci anni fa e che ora hanno i buchi, vestendomi nella maniera peggiore (che tanto vai a correre, mica ad un congresso) e manco a dirlo nessuno spirito competitivo. No, Strava non entrerà mai nella mia APP store, per intenderci.

La scorsa estate – ricordo bene – stufo di fare il convalescente, ad un certo punto avevo deciso di uscire per una camminata che fosse un po’più lunga del giro dell’isolato. Così ho percorso il tratto di sentiero lungo la rosta verso la falesia dello Strabut. Dovevo riavvicinarmi a qualcosa di naturale dopo giorni di ospedale e tubicini, sentire odore di terra, ricordarmi come si faceva a stare in piedi, a camminare da solo anche solo per un quarto d’ora. Arrivai in fondo al quel banale chilometro di passeggiatina tenendomi il costato per i dolori delle fratture, con i punti che tiravano e il fiato corto.  

C’è una sovrabbondante narrativa circa storie di recuperi, sopravvivenza o come si suol dire oggi “resilienza”. Ecco, non intendo ammorbarvi con stucchevoli slogan motivazionali del tipo “credi in te stesso” o “supera i tuoi limiti”. Al contrario, ho iniziato a riflettere sul fatto che non volevo superare alcun limite. Semmai riappropriami dei miei limiti. Riscoprirli. Ed è curioso che mi sia accorto di quanto importanti siano i nostri limiti proprio nel momento in cui la mia resistenza non andava oltre quella passeggiata a fianco delle recinzioni delle case.

Sarebbe stato facile iniziare a sognare chissà quali montagne. Sarebbe stato entusiasmante. Ma quello faceva ancora troppo male. Iniziai invece a pensare a qualcosa che non mi era mai passato minimamente per la testa. Ovvero una corsa, una gara di corsa, quelle col pettorale e col traguardo, magari proprio un trail. Quelle cose che odiavo.

Ho letto una volta che Joe Strummer, il celebre cantante e anima dei Clash, fu anche un maratoneta occasionale. Ne corse ben 3 di maratone nella sua vita. La prima durante un periodo di crisi artistica e personale, quando fuggì a Parigi sperando di stare lontano dai giri per un po’ e finendo per correre in un tempo più che dignitoso la maratona cittadina. Ve la immaginate una delle icone del punk, che mai metteresti vicino non dico ad un atleta, ma nemmeno ad uno sportivo, in pantaloncini e pettorale per 42 km? Quando chiesero a Joe come si fosse allenato disse che non poteva rivelarlo, perché il metodo era troppo rischioso. Ovvero non fare assolutamente nulla il mese precedente e scolarsi 10 pinte di birra la sera prima. In fin dei conti una risposta molto punk che mi ha ringalluzzito sull’idea che potevo correre anche io una gara. Con le scarpe rotte, la maglietta brutta e senza (troppa) preparazione. Il mio obiettivo era riconquistare un limite.

Percorrendo l’ultimo chilometro del trail del Calvario – cercando pure arrogantemente di allungare, al 17esimo km e con i 700 di dislivello alle spalle ma solo perchè la gente ti guarda – ripensai a quanto odiassi correre (anche in quel momento, anzi soprattutto), ma anche come quegli ultimi metri rappresentassero una riappropriazione. Passata attraverso i dolori delle prime corsette di venti minuti e poi dalle disagiatissime sessioni semi notturne delle 6 col Clok, sui lungoni di periferia dove allunghi per sfuggire alle ombre e soprattutto dal timore che qualcuno dei cani ai passeggio con i loro padroni mi puntasse. Passata attraverso giorni in cui ho persino desiderato correre, correre nel bosco, specie quando piove e sotto il cappuccio il mondo è attutito. Che dopo un po’entri in uno stato quasi meditativo e non sembra nemmeno di correre, ma di conquistare uno spazio. Dove i pensieri si mettono quasi di lato per farti passare senza chiederti più nulla.

Nell’ultimo mezzo chilometro ho capito perché odiavo tanto correre e perché mi ritrovavo a spingere ancora al chilometro 17. Forse proprio pensando a Joe Strummer, alla sua maratona punk e ad una delle sue frasi più celebri. “Future is unwritten” – il futuro non è scritto, disse una volta Joe. Lo possiamo sempre creare da soli, in ogni momento. Anche dal fondo più buio, quando tutto è in frantumi e non ti ricordi più come si faceva. A stare in piedi, a far fatica, a desiderare qualcosa. E ora che si avvicina il traguardo scopro che non sono felice tanto di arrivare, quanto di averlo scoperto di nuovo quel limite. E che qualche volta, per ripartire, bisogna provare a smentire sé stessi.

La prossima collina

di Saverio D’Eredità

Per giorni non avevo visto che lo stesso cielo. La stessa porzione ritagliata tra due cubi di cemento appena movimentata dalla chioma di un pino. Giorni in cui avevo finito per perdere il senso dello spazio e del tempo e l’interesse per qualsiasi cosa che non fosse uscire da lì, dove vedevo sempre lo stesso cielo. Quando sono uscito le montagne stavano ancora lì e la prima che si vede è il Gran Monte, barriera frangiflutti regolare e tarchiata che difende le Giulie e le valli più interne. E’ un monte generoso e bonario. Si prende il soffio caldo della pianura, i suoi vapori appiccicosi, le secchiate d’acqua delle perturbazioni autunnali, lasciando al Canin la nobiltà dell’abito bianco. Il Gran Monte assomiglia a quegli animali giganteschi ma buoni delle fiabe. Tipo Falcor della Storia Infinita. Ti raccoglie con il suo lungo collo là dove sorge il Torre e ti deposita dolcemente con la coda sulle rive dell’Isonzo. In mezzo ci passa un confine, ma lui non c’ha mai fatto troppo caso. E’ appena un piccolo cippo che devi solo stare attento a non inciamparci. Sul Gran Monte ci andavo sempre, ai primi tempi, e a quasi sempre da solo. Perché avevo pochi soldi per la benzina e quasi nessun compagno. Poi ho potuto fare qualche pieno in più e caricare in auto qualche altro amico. Sul Gran Monte non ci son più tornato, senza però smettere di guardarlo. Andando e riandando con gli occhi sul filo di quella spina dorsale.

Il Gran Monte, per noi della pianura, è da sempre la prossima collina. Quella che ti spinge a salirla per vedere, da lì, cosa c’è oltre. In fin dei conti, sta tutto qui. In quello che ti spinge alla prossima collina e da lì ancora avanti. Per vedere come è il cielo da lassù. Attraversarlo per intero, il Gran Monte, non lo si fa certo perché è una grande impresa e nemmeno per arrivare da qualche parte. Lo si fa per riconoscenza.

Ci sono volte in cui non puoi pensare di recuperare qualcosa che non c’è più. Ci sono volte in cui la cosa migliore da fare è ricominciare tutto da zero. Rifare le zaino e partire, come fosse la prima volta. Non per riprendere da dove avevi interrotto, ma come se davanti a te ci fosse solo un nuovo viaggio. Verso la prossima collina.

Nei pressi di Punta Montemaggiore – foto S.D’Eredità
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Chiamiamole montagne, per favore

di Saverio D’Eredità e Carlo Piovan

Agli uomini piace parlare della guerra per allontanare il momento dell’entrata in battaglia. Questa è una delle lezioni che si possono trarre dall’Iliade di Omero¹ e che ritroviamo in questi giorni. Gli uomini (intesi come genere maschile) di fronte ad un problema che li ha spaventanti e che li ha trovati spiazzati, hanno scelto di riesumare le parole della guerra come veicolo comunicativo con la comunità (italiana, nel nostro caso). Perché è sicuramente più facile segnare una linea per terra e dividersi in due fronti che valutare la complessità di un evento. Perché parlare della guerra, come ci ha insegnato il poeta Greco, rimanda il momento della battaglia in cui è noto che senza una strategia non si vince. Chissà che paradigmi sarebbero stati usati per affrontare il problema sanitario, se la presenza femminile nelle varie task force governative, invece di essere in netta minoranza, fosse stata perlomeno pari agli uomini. Si sarebbe parlato ancora di guerra? Continua a leggere

Nevee Outdoor Festival 2018

di Saverio D’Eredità

Quando si parla di bambini, gli anglosassoni usano definire le fasi della crescita con alcuni nomignoli. E possiamo dire che anche per il Nevee Outdoor Festival siamo arrivati ai ben noti “terrible three”, i terribili tre. Tre come gli anni di vita di questa manifestazione, ma sarebbe meglio chiamarla festa, che celebra Sella Nevea, le Giulie tutti gli sport “alpini” e non in tre giorni tra le pareti, gli abissi e gli spazi del Canin.

Il NOF è una realtà, ormai da alcuni anni. L’impegno degli organizzatori è spesso invisibile, sebbene tangibile ogni qualvolta mettiamo la nostra corda in catena o troviamo un percorso attrezzato con tabelle e segnalazioni. Dopo tre anni crediamo si sia dimostrato – e anche molto bene – come questo modello di sviluppo delle nostre montagne possa essere vincente e soprattutto aggregante. La strada da intraprendere è stata individuata e crediamo meriti ascolto ed attenzione. In quest’ultimo mese tra Arrampicarnia e NOF si è dimostrato come mettere al centro le attività sportive possa non solo attirare visitatori, ma anche indicare in che direzione (civile, ecologica, inclusiva) si possa frequentare la montagna.

Anche quest’anno il NOF ritorna con entusiasmo, arricchendo il programma di svariate attività dai boulder tracciati con attenzione e pazienza dai ragazzi del Nevee, all’arrampicata sportiva (anche per chi inizia), la speleologia, la mountain bike e…lo scialpinismo. Il patrimonio di innevamento del generoso inverno 2017-2018 ci ha lasciato un bel nevaietto in Prevala dove sarà offerta la possibilità di uno ski-test fuori stagione, mentre tutt’attorno tra slackline, acro yoga e musica non ci si annoia di certo.
Si parte stasera, alle ore 20 presso il Centro Polifunzionale di Sella Nevea con la conferenza “Alla scoperta delle Alpi Giulie: incrocio di parchi, di genti e di animali” in cui interverranno il direttore del Parco Prealpi Giulie Stefano Santi e ricercatori dell’Università di Udine (ricordiamo infatti che buona parte delle attività del NOF si svolge nella pregevole area del Parco). A questo seguirà la conferenza di un personaggio che in un certo senso riassume lo spirito del NOF, Michael Kemeter, un “outdoor-man” a tutto tondo: highliner, climber, base jumper…personaggio eclettico e irregolare, molto interessante e da scoprire.
Domani, sabato 21 luglio ci si disperderà tra macigni, forre e falesie dell’altipiano del Canin per poi trovarsi tutti al Gilberti per il concerto e la presentazione (alle ore 18 presso il Rifugio Gilberti) della nostra guida “Alpi Carniche Occidentali” (ultima occasione!) in cui introdurremo anche il lavoro sulla prossima edizione dedicata alle Giulie.
Infine via alla Romboss Fest.  Una festa dedicata al nostro amico Leonardo Comelli, ispiratore del NOF e il cui spirito rimane sempre presente tra noi, tutte le volte che attacchiamo una parete o ci apprestiamo a scendere con gli sci. C’è sempre una battuta o una “cagada” di Leo da ricordare.Facciamone un’altra Leo

Si chiude domenica con la Canin Sky Race, l’escursione naturalistica con le guide del Parco e tutte le attività che vorrete fare attorno al Gilberti e non solo.

Il programma e tutte le info sono disponibili qui https://neveeoutdoorfestival.com/

Cattura

Colli Euganei Trail #3 – Terre bianche

Breve percorso che si sviluppa sui primi rilievi collinari compresi fra l’abitato di Treponti (Teolo) e Luvigliano. Adatto ad essere interamente corso, in quanto si sviluppa prevalentemente su strade sterrate o sentieri ben marcati. L’unico difetto è rappresentato dagli ultimi cento metri di discesa dal Monte Solone che avvengano lungo una tracciata invasa dai rovi. Volendo evitare la sgradevole parte finale è possibile tornare indietro dalla cima, fino al bivio e collegarsi al percorso d’andata.

Dalla località Treponti, svoltare verso Luvigliano (SP 98) fino alla Trattoria da Iseo che si trova sulla destra, girare lungo la strada in salita e parcheggiare negli spazi antistanti la trattoria.

terre bianche

Il sentiero inizia sopra la strada, sale nel bosco e prosegue fino ad innestarsi nella strada sterrata denominata via Pastoie. Si prosegue in salita lungo la strada bianca (segnavia alta via dei colli) fino a guadagnare un dosso, si prosegue in discesa fino a dove l’altavia devia a destra (Monte Pirio, interessante variante per allungare il percorso). Continuare per la strada, ora in leggera salita, fino a dove torna asfaltata. Ora non proseguire in salita ma svoltare a sinistra ed iniziare a scendere rapidamente fino a Luvigliano. Usciti sulla strada principale, si svolta a sinistra, si passa tra la chiesa e il complesso monumentale di Villa Vescovi, per poi rientrare lungo una strada sterrata, sulla sinistra. Seguirla in salita fino a raggiungere una breve sella. Piegare a destra lungo un largo sentiero che sale fino alla sommità del Monte Solone (ignorando un bivio sulla sinistra). Ora è possibile scendere nuovamente alla sella e raccordarsi al percorso di salita o tornare al bivio, superato da li a poco e scendere lungo di esso come di seguito descritto. Intraprendere la discesa via via più ripida, lungo il crinale sud. Imboccare il bosco di latifoglie e scendere lungo una traccia che segue la linea displuvio, fino ad uno slargo appena accennato. (Attenzione il Monte Solone sul versante Nord Est, presenta una parete di cava, che si apre dal margine del bosco). Ora piegare a sinistra, lungo la vaga traccia che uscendo dal bosco attraversa una zona di rovi. Da li a breve si arriva sulla strada in via delle buse. Svoltare a destra fino a raggiungere la SP 98 poi a sinistra lungo la strada provinciale fino al punto di partenza.

Colli Euganei trail #2 traversata meridionale del gruppo 

Percorso suggestivo e vario che percorre la parte meridionale dell’alta via dei Colli,  con arrivo e partenza da Castelnuovo. Si solcano prevalentemente sentieri e strade sterrate con brevi tratti di asflato, si procede senza grossi sforzi a ritmo di corsa, essendo limitate in brevi punti le salite ripide. Se percorso in una giornata limpida, concede ampie vedute sulle Prealpi e sulle Dolomiti.

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Veduta salendo al Monte Gemola
Si parte da Castelnuovo (SP 101, parcheggio di fronte l’albergo Turetta) . Si devia per la SP 43 passando sotto la chiesa fino ad incrociare via Siesa sulla destra, che sale verso il Baimonte; si percorre la strada asfaltata per poi deviare lungo in sentiero che superato il Baiamonte scollina verso il Monte Venda, che si aggira sul versante Est con un percorso di saliscendi ma con un dislivello prevalentemente negativo. Si sbuca su via sottovenda che si percorre in discesa, in mezzo ai vigneti, fino ad intercettare la SP 99 che si oltrepassa proseguendo per una strada sterrata che porta al passo del Roverello. Il sentiero prosegue con lieve dislivello positivo attraversando il lato occidentale del Monte Peraro e del Monte Gallo. Si esce, in salita, su via Roverello, si gira a destra e si scende fino alle pendici del Monte Fasolo. Si sale il colle per l’omonima via (strada sterrata) e si scende per il versante opposto. Si scarta sulla destra il Monte Rusta e si sale direttamente al Monte Gemola, dove sorge sulla sommità Villa Beatrice d’Este. Poco prima di entrare nel giardino della Villa, il sentiero piega in discesa a destra, costeggiando la mura di cinta e poi ripiega a destra fino a sbucare su via Santa Lucia. Seguire brevemente la strada per poi abbandonarla per un sentiero in falsopiano che aggira la base del Monte Rusta, fino a sbucare sulla SP 99.

Attraversare la strada, proseguire su via Pestrini ed abbandonarla poco dopo per salire a destra fino ad una dorsale che poi conduce verso il Monte Brecale. Lo si aggira dal versante occidentale per proseguire nuovamente in direzione del Venda, guadagnado dislivello.

Si completa il giro del Venda, questa volta sul lato nord orientale, attraversando nella parte finale delle caratterstiche formazioni rocciose “denti della vecchia”  fino a risalire a Castelnuovo per via Ronco (SP 101) .

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Tutto il percorso è segnalato con il segnavia dell’alta via dei colli, seguire solo quelli per non sbagliare

21 km 800 D+

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Colli Euganei Trail #1 – Monte Grande Monte della Madonna

di Carlo Piovan

Il percorso, proposto, si sviluppa prevalentemente su strade sterrate o asfaltate con pendenze regolari e brevi tratti di sentiero più erti.

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Monte Grande e Monte della Madonna – fonte euganeamente.it

Si parte dalla Trattoria Monticello, nel Comune di Rovolon (s.p. 77), imboccando l’antistante via Bettone che si percorre per meno di un chilometro fino alla base del Monte Grande dove si stacca sulla destra una strada sterrata, che risale con pendenza regolare tutto il versante est del Monte Grande, caratterizzato in prevalenza da castagneti. Raggiunta la sommità del colle, si svalica sul versante opposto di quello di salita, seguendo sempre la strada sterrata che con lunghe rampe alternate a qualche tornante conduce ai prati del passo delle Fiorine. Ci si immette su via Monte Madonna, si supera il ristorante Baita alle Fiorine e si prosegue ancora per qualche centinaio di metri fino a trovare sulla destra, una stradina che sale in direzione del Monte della Madonna. Percorrerla fino ad imboccare un sentiero che si fa via via più ripido e sbuca sui tornanti finali di via Monte Madonna. Proseguire per l’ultimo tratto lungo la strada fino al piazzale di fronte al cancello che delimita l’acceso al santuario. Scendere  verso sud, lungo un ripido sentiero che a breve incrocia una strada asfaltata, scendere per una decina di metri a sinistra e riprendere il sentiero che scende, sempre verso sud, fino ad un bivio. Svoltare a sinistra e percorrere un lungo tratto in falsopiano che riporta al passo delle Fiorine. Attraversare i prati, in direzione nord, passando di fronte la Baita Fiorine, ed intraprendere una stradina sterrata (piegare a destra)  che aggira il versante nord del Monte grande (i sentieri che scendono direttamente verso nord che incrociamo, portano a Rovolon) fino a ritornare sulla strada percorsa in salita. Da qui si ripercorre a ritroso, la parte seguita in salita.

9,92 km – 710 m D+

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