I viaggi di Lilliput – Capitolo II

di Saverio D’Eredità feat. Stefano Salvador

Com’era verde la mia valle

L’uomo, si dice, ricerca nel corso della sua vita le forme materne. Questa ricerca di un archetipo assunto nei primi anni di vita pare possa influenzare lo sviluppo psichico, l’educazione sentimentale e l’inserimento nella società. Dev’essere qualcosa di simile che accade nelle menti degli alpinisti e noi ne abbiamo la riprova dal momento che ci stiamo incamminando verso la base di una montagna dalle forme e quote decisamente dolomitiche. Si staglia a dire il vero piuttosto sfrontata a picco sopra i baretti di Chamonix, con la sua caratteristica forma ad “M” e per questo conosciuta come “Aiguille de l’M”. Siamo pur sempre nel gruppo delle ben più blasonate Aiguilles de Chamonix, che annovera in famiglia giganti come la Blaitiere, il Fou, la Republique etc etc. Così, da bravi lillipuziani, abbiamo pensato bene di infilarci anche noi in questo mondo di giganti, passando dalla porticina laterale. La sua dimensione ridotta, pensiamo, ben si presterà ad una giornata un po’meno introduttiva di ieri e con il vantaggio di non doverci misurare nuovamente con l’enigmatico terreno misto e poter riassaporare il nostro elemento materno: la pura roccia!

I problemi dell’alpinista nordestino in trasferta nel massiccio del Bianco possono essere riassunti in due elementi principali: gli orari e le guide. Per quanto riguarda gli orari non si tratta delle sveglie notturne, delle cadute di seracchi a metà mattina, della neve pomeridiana che cede, eccetera, piuttosto si tratta degli orari di chiusura di esercizi commerciali e simil-commerciali a supporto del trasfertista… Analogamente le guide che causano problemi non sono i famosi specialisti dell’ENSA con clienti al guinzaglio in sorpasso alle soste troppo affollate, bensì sono le guide in formato cartaceo, più o meno solidamente rilegate… per dirla alla locale: le topo! La trasferta nelle Occidentali infatti ha tempi sempre contingentati che prevedono un arrivo serale/notturno, utilizzo il più possibile esteso delle ore di sole e qualche umana necessità di alimentazione, sonno e birra nei tempi residui. Questo programma standard si scontra quindi con orari che prevedono la chiusura festiva e serale delle fonti di topos come librerie, biblioteche e uffici di consultazione vari ed eventuali. Ed è vero che su Internet si trova di tutto e di più… ma di solito non si trova mai la relazione della via che vi interessa! Ancora più insidiosa per l’arrampicatore abituato ad allungare le giornate perché “tanto sul sentiero possiamo tornare giù al buio senza problemi” è poi la sgradevole abitudine della Compagnie du Mont Blanc di non adeguare gli orari di percorrenza agli obiettivi degli alpinisti ed alle condizioni metereologiche. Altro che ultima discesa dall’Aiguille de Midi alle 16:30, dovrebbero avere orari del tipo “Take it easy, se c’è sole vi aspettiamo finché fa buio” o ancora meglio, dopo le 17 prevedere delle corse a chiamata: ci si aspetta, si raggiunge un numero adeguato, si preme un apposito pulsante e via! Naturalmente questi problemi si annullano in caso di maltempo: in quel caso non si capisce perché i negozi restino aperti così a lungo e servono solo a rimproverarvi di non aver ancora comprato i friend capaci di proteggere anche i buchi svasi di dimensioni inferiori al micron o superiori al mezzo metro. Se piove il problema diventa non l’assenza di relazioni e guide ma la scelta tra un libro e l’altro, con lunghi dialoghi tra se stessi ed il proprio portafoglio. Portafoglio che, tra l’altro, in negozio e in libreria, maleficamente vi ricorda la necessità di accantonare gli opportuni fondi per combattere la tipica depressione da brutto tempo dell’alpinista con i rimedi che tutti voi conoscete… sappiamo tutti che a Chamonix la birra costa cara! In questa “lillipuziana” trasferta a Chamonix per fortuna il maltempo non sembrava volerci facilitare le cose..

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Scesi quindi dalla funivia dell’Aiguille du Midi con una delle ultime corse e rimuginando le prossime mete veniamo infatti colpiti in sequenza dalla mancanza di relazioni in nostro possesso e poi dai malefici orari di chiusura della fornitissima, disponibilissima, fotocopiabilissima biblioteca di guide e relazioni della Maison de la montagne.

La sequenza di dialoghi si svolge più o meno così

“Domani direi via di roccia, Aiguilles de Chamonix, in giornata da Plan de l’Aiguille”

“Mais oui, ça va sans dire!”

“Ci sarebbe l’Arête des Papillons, però mi sa che con tutta sta neve sarà bagnata..”

“In alternativa ho letto su internet di una via di Piola super consigliata, sulla Blaitière”

“Abbiamo la relazione?” “No, solo il nome e poco più.. ma ci sarà qualcuno in via, no? Magari gli spit delle soste si vedono…”

“…”

“Beh dai vediamo di rimediare una relazione.. A che ora chiude l’ufficio delle guide?”

“Più o meno.. adesso!”

“Corro.. no non corro.. è chiuso”

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Aiguille de l’M

Incamminandoci al mattino possiamo apprezzare la dimensione a noi più congeniale. Scaricati con una funivia più consona ai ritmi dolomitici e sui prati del Plan de l’Aiguille, ci avviamo mani in tasca e fischiettando verso la nostra guglietta chiedendoci se fosse più alta che lontana o viceversa. In ogni caso la giornata comincia bene. Senza rimpianti lasciamo che il secondo troncone parte verso le altezze glaciali mentre noi ci avviamo dietro ad una coppia di ragazzi che già ci rincuora. Fidanzatini in gita con corda ben arrotolata sullo zaino di lui e peso ridotto per quello di lei. Oh, che visione serena e piena d’amore! Sembra sì di essere in qualche bel sentiero di accesso dolomitico, che ne so, nei Cadini, o nei dintorni della Tofana. Avvicinamenti comodi, scambi di sorrisi alle soste, gentilezze non richieste e foto reciproche. Quanto mi piace, questa aiguille de l’M!

Peccato che nella successiva ora, terminati i nostri preventivi giudizi positivi, già ci stiamo arrovellando sulle pietraie moreniche sospettando che la guglia sia non tanto piccola e nemmeno tanto vicina. La coppietta scompare verso qualche via non meglio identificata o forse qualche altra attività maggiormente appagante.

A noi resta un silenzio di marmotte e bestemmie. Sì, perché già da parecchie decine di minuti da un lato io sto allungando confusamente il passo, irritato dalla persistenza di questa traccia incerta tra macigni dall’altro Stief sta masticando nella bocca il nome di una certa via di Piola tipo “Nabot-Leon” o “Napo-Leon” o qualcosa del genere. Generiche informazioni adocchiate smanettando con il wifi a scrocco di un bar: fessure, quinto, protezioni dove serve, 7 tiri. Non uno schizzo e nemmeno una cima. Non mi sembra onorevole e nemmeno prudente. Tiro avanti lasciandolo biascicare il nome con il fiatone da ghiaione convincendomi che la nostra guglia para-dolomitica ci darà soddisfazioni.

E dolomitica appare, appena scollinato l’ultimo cordone morenico, ma dolomitico d’oltre piave, per dio! Camminiamo da 2 ore e un’altra buona si prospetta con tanto di discesa, risalita e ravano. Praticamente ci siamo scelti la Punta Claut di Chamonix. E per chi non sa dove sia, bè, fatevi una cultura prima di lamentarvi degli avvicinamenti lunghi! Gli stessi pensieri, nel frattempo, deve averli Stief in un telepatico dialogo a distanza…

Quando raggiungo Saverio che mi aspetta sull’ultimo colle le piacevoli sorprese si aggiungono una all’altra: affacciandosi sul lato opposto del colle si vede esattamente sotto in linea d’aria il trenino del Montenvers (“Vuoi vedere che da lì era più corto l’avvicinamento?” “Ma no, dai, se la guida diceva da Plan de l’Aiguille di sicuro è più comodo da dove siamo venuti noi” “…”), la parete è ancora abbastanza innevata dovunque sia in ombra e non ci sono tracce di nessun tipo. Ergo, saremo i primi dopo le ultime nevicate sulla via: “Beh almeno non c’è nessun altro, ci evitiamo i famosi ingorghi in sosta”.

Arrivati all’attacco e messi in spalla scarponi e armamentario da neve finalmente tocchiamo il ruvido granito chamoniardo. Di seguito un breve riassunto dei dialoghi che si susseguono durante i tiri.

Primi tiri al sole:

“Beh dai, pensavo peggio sto granito, è un po’ squadrato ma basta alzare i piedi e si va”

“E tiene tutto,guarda come entrano bene i nut in ‘ste fessure!”

Raggiungiamo una terrazza: la via gira l’angolo e si raddrizza in un diedro. In piena ombra.

“Ok vado a vedere com’è sto diedro..”

“Allez!”

“Hmhmhm l’attacco è tutto intasato di neve, aspetta che tiro giù la picca e mi scavo gradini per le scarpette”

“Ok, sono di nuovo su roccia, speriamo che le scarpette tengano anche se bagnate”

”Occhio qua che la roccia è freddissima”

“…”

“###ççç@@@!!!## la fessura è troppo larga per incastrare, provo con piedi sulle placche laterali e mani sul bordo”

“####ççç####****%%%$$$”

“Ok sono fuori, maledetto granito!”

“Però che bella foto che viene sul diedro”

”Fidati della tacchetta”

“Duro, però figo ‘sto granito: questo doveva essere il passaggio chiave, adesso migliorerà”

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Il diedro chiave

La relazione ci dice di proseguire dopo il diedro più facilmente.. però dopo il diedro ci sono altre fessure un piccolo tetto a destra.Quindi si va per tentativi.

Tentativo 1 – piccolo tetto e traversata:

“Che brutta roccia.. ma non dovrebbe essere solidissimo sto granito”

“Occhio qua”

“Hmhmhmhm non mi convince, dietro l’angolo è tutto marcio”

“###çççç@@@”

“Ok torno indietro, sarà da andare a sx”

Tentativo 2 – fessure verticali:

”ma perché non si riesce a incastrare..”

“maledetto granito”

“riuscirei forse a incastrare ma non con lo zaino”

“sono finite le fessure, faccio sosta sul niente”

La conclusione si avvicina, il proseguo si può riassumere con qualche cenno impressionistico: “Mah, sarà di qua?”/ “Ma le soste non dovevano essere evidenti?”/“Ok sono fuori, vieni”/“Però non male come tiro, alla faccia degli incastri e del facile”

In discesa ci rallegriamo di trovare qualche sosta di discesa di vie sportive su placche che sembrano molto belle, se non fossero bagnate… Tornati al nevaio di attacco ci infiliamo gli scarponi che abbiamo portato a fare un giro sulle nostre spalle per tutta la via, rimettiamo via la ferraglia e guardiamo l’ora. “A che ora è l’ultima corsa della funivia?” 

“Beh per questa volta dovremmo essere tranquilli, tagliamo giù dritti fino al sentiero sotto le morene, è quasi in piano.. in un’ora e mezza arriviamo”

“Sì infatti, che caldo però con sto sole..”

Tagliamo i pendii per tracce più o meno rassicuranti verso i prati che fanno da bordo dello zoccolo delle Aiguilles ed arriviamo al sentiero panoramico. Da qui il Montenvers si dovrebbe raggiungere in poco, però il nostro biglietto di rientro vale per la funivia della Midi, non per il trenino, per cui ci si incammina. Il visibilissimo arrivo della funivia per un fenomeno ottico noto a tutti gli alpinisti in rientro si mantiene però sempre in lontananza. Il sole picchia sempre di più e sembra ancora più caldo ogni volta che incrociamo trail runners e famigliole in canottiera. In breve iniziamo a recitare una nostra personale versione del mantra usato in Himalaya per tenere il ritmo: “non devo perdere l’ultima funivia, non devo perdere l’ultima funivia, non si deve perdere l’ultima funivia”.. Mentre Saverio sprinta via io mi trovo a ragionare sulle possibili alternative di discesa: da qui un sentiero per scendere in paese almeno c’è.. però farselo in scarponi potrebbe richiedere più tenacia che qualche rientro notturno dalle Giulie. Il rientro si rivela un vero e proprio re-avvicinamento, di durata poco inferiore all’andata. Sulla risalita finale il timore dell’orario raggiunge un picco (anche perché non ho l’orologio per controllare) e già addocchio il vicino rifugio ma per fortuna quando raggiungo Saverio fuori dalla funivia c’è ancora del tempo prima dell’ultima corsa. Però ormai abbiamo capito l’antifona: ci infiliamo direttamente in coda per scendere senza neanche tirare il fiato, sai mai che questi cambino idea.

Fuori dal piazzale della funivia ci sono almeno 35 gradi, però c’è anche un baretto all’ombra.

“Alla faccia dell’avvicinamento breve..”

“Guarda qua: su web hanno scritto i ragazzi della Blaitiere…sono tornati giù dopo poco perché non era in condizioni..”

“Ah, quindi forse non è proprio normale trovare neve, roccia fredda e rogne varie…”

“Domani piove, vero?”

“Sì, possiamo recuperare un po’ di relazioni..”

“A che ora chiude la Maison de la Montagne?”

E il gioco ricomincia..

In conclusione dal primo contatto con il granito traiamo i seguenti insegnamenti:

a) l’educazione ricevuta dalle Carniche, Giulie e Dolomiti serve sempre, male che vada perché offre degli ottimi termini di paragone

b) il primo luglio del 2014 non è che le vie di roccia sulle Aiguilles fossero esattamente in condizioni

c) sul granito ci si tiene ma conviene parlare con i propri piedi in maniera convincente

d)se dovete andare sull’Aiguille de l’M probabilmente vi conviene partire dal Montenvers!

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Le luci dei fari illuminano impalpabili veli di vapore che si sollevano dall’asfalto bagnato dalla pioggia nuova.È sera e la prevista perturbazione guasta vacanza arriva in realtà più come una assoluzione dai nostri mali. Guido verso Argentiere, dove finalmente ritrovo gli amici aspiranti, ad un luogo di appuntamento quanto mai imprevisto. Non l’attacco di una via o la prima corsa della funivia, ma il bar Savoy dove davanti a due birre e un pastis abbiamo modo di scambiarci preoccupazioni da notte prima dell’esame e la frustrazione da aspettative tradite.Che situazione strana, trovarsi qua, come legionari al fronte, sbattuti in una terra non nostra eppure così agognata. Non c’è, nel secondo giro di boccali, quella naturalezza delle serate al Gilberti e nemmeno il pacifico allungare le gambe sotto il tavolo a sancire la fine di una proficua giornata.

La faccia mi scotta, Andrea sorride, stiamo tutti cercando qualcosa che ci ricordi casa ma in fondo siamo proprio noi. Ci salutiamo disarmati. Siamo in terra straniera, ognuno con un proprio compito e c’è poco spazio per sentimentalismi.

Rientrando verso Chamonix a finestrini abbassati lascio affluire l’aria spessa del bosco bagnato. E d’improvviso sento che mi manca tutto, mi manca la Saisera la sera quando la luce cala e le foreste  che si fanno nere eppure sono come il giardino di casa. Mi manca la Vrata di ritorno da ciclopiche traversate sugli altipiani del Triglav con i piedi bolliti e un boccale di Lasko che qui stasera non c’era.

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