di Saverio D’Eredità
Per giorni non avevo visto che lo stesso cielo. La stessa porzione ritagliata tra due cubi di cemento appena movimentata dalla chioma di un pino. Giorni in cui avevo finito per perdere il senso dello spazio e del tempo e l’interesse per qualsiasi cosa che non fosse uscire da lì, dove vedevo sempre lo stesso cielo. Quando sono uscito le montagne stavano ancora lì e la prima che si vede è il Gran Monte, barriera frangiflutti regolare e tarchiata che difende le Giulie e le valli più interne. E’ un monte generoso e bonario. Si prende il soffio caldo della pianura, i suoi vapori appiccicosi, le secchiate d’acqua delle perturbazioni autunnali, lasciando al Canin la nobiltà dell’abito bianco. Il Gran Monte assomiglia a quegli animali giganteschi ma buoni delle fiabe. Tipo Falcor della Storia Infinita. Ti raccoglie con il suo lungo collo là dove sorge il Torre e ti deposita dolcemente con la coda sulle rive dell’Isonzo. In mezzo ci passa un confine, ma lui non c’ha mai fatto troppo caso. E’ appena un piccolo cippo che devi solo stare attento a non inciamparci. Sul Gran Monte ci andavo sempre, ai primi tempi, e a quasi sempre da solo. Perché avevo pochi soldi per la benzina e quasi nessun compagno. Poi ho potuto fare qualche pieno in più e caricare in auto qualche altro amico. Sul Gran Monte non ci son più tornato, senza però smettere di guardarlo. Andando e riandando con gli occhi sul filo di quella spina dorsale.
Il Gran Monte, per noi della pianura, è da sempre la prossima collina. Quella che ti spinge a salirla per vedere, da lì, cosa c’è oltre. In fin dei conti, sta tutto qui. In quello che ti spinge alla prossima collina e da lì ancora avanti. Per vedere come è il cielo da lassù. Attraversarlo per intero, il Gran Monte, non lo si fa certo perché è una grande impresa e nemmeno per arrivare da qualche parte. Lo si fa per riconoscenza.
Ci sono volte in cui non puoi pensare di recuperare qualcosa che non c’è più. Ci sono volte in cui la cosa migliore da fare è ricominciare tutto da zero. Rifare le zaino e partire, come fosse la prima volta. Non per riprendere da dove avevi interrotto, ma come se davanti a te ci fosse solo un nuovo viaggio. Verso la prossima collina.

Traversata di cresta del Gran Monte
Prealpi Giulie
Trenta chilometri di sviluppo e 1700 mt di dislivello (a seconda della APP che usate!) per una traversata tanto evidente e logica quanto poco nota. Pur priva di difficoltà tecniche questa infinita cresta erbosa, spina dorsale delle Prealpi Giulie, esercita uno strano fascino “morfologico”. Non supera mai i 1674 metri che si toccano sullo Stol, si compone di decine di dossi e cime minori e sovrasta i bacini idrografici di Torre, Natisone e Isonzo. Passarla da parte a parte è un piccolo viaggio, forse più sentimentale che geografico. E per questo irresistibile.
Partenza: Micottis (frazione di Lusevera), mt 536
Arrivo: Caporetto, mt 234
Punto più alto: Stol, 1674 mt
Sviluppo: 30 km
Dislivello: 1700 mt circa
Difficoltà: E (brevi tratti esposti nei pressi del Briniza)
Tempi: 9-12 h di camminata effettiva. Possibile spezzare in due gg sia al Ricovero Montemaggiore, sotto Punta Lausciovizza (gestito in estate) o al Bivak pod Muzcem, nella parte slovena della cresta.
Descrizione: la nostra traversata ha preso avvio lungo il tracciato dell’UltraVertikal Challenge che con un tracciato recentemente segnato (triangolo bianco su bollo rosso) e sfalciato risale la dorsale sud/ovest del Mali Varh (2.30 km in cui si guadagnano 882 metri con pendenza del 38%). Si sale una scalinata che parte davanti alla fermata del bus, alla fontana si gira a sx per una stradina quindi dopo circa 300 mt a destra nel bosco iniziano i segni. Salire prima nel bosco, poi su terreno aperto quindi guadagnare la costola erbosa che scende dalla cresta. Una volta raggiunto il Mali Varh si prosegue fedelmente sul filo di cresta, toccando il Testa Grande ed intercettando il sentiero 710 che raggiunge il Briniza (mt.1636) con tratti a volte esposti, quindi scende a Sella Kriz e risale alla Punta Lausciovizza (mt.1620) in vista del Ricovero Montemaggiore. Si prosegue sull’ampia dorsale a tratti quasi pianeggiante alla Punta di Montemaggiore (mt.1613) oltre la quale ci si abbassa circa 100 mt, lasciando a destra la traccia del sentiero 713 che scende a Montemaggiore. Qua inizia un tratto che su alcune carte non è segnato ma in realtà abbastanza evidente (tratti anche bollati). La traccia segue sempre o quasi il filo, talvolta appoggiando a nord in una bella faggeta (attenzione a non smarrire il tracciato) altre a sud su prati a volte esposti ma comunque senza difficoltà. Si oltrepassa il cippo di confine e si prosegue superando o passando ai margini di alcune elevazioni (Gnjilica, Nizki vrh, Kopa) e intercettando a quota 1445 in corrispondenza di una selletta (punto più basso della cresta) il sentiero contrassegnato dal segnavia sloveno. Con percorso panoramico ed entusiasmante si supera il Veliki Muzec (1630), si scende al piccolo bivacco Pod Muzcem (mt.1550, ottimo punto di appoggio per chi vuole spezzare in 2 gg), si risale al Mali Muzec (1612 mt da qui è possibile scendere a Breginj), quindi si continua con visuali sempre più ampie sul Canin e la Valle dell’Isonzo verso il Ribezni, il Puntarcic prima dell’ultima risalita verso lo Stol, riconoscibile per il ripetitore in cima. Dallo Stol, la traversata integrale prosegue facilmente per sentiero quindi strada forestale ed infine nuovamente sentiero (attenzione a non seguire la diramazione verso Nord che porterebbe verso Uccea) che con ripidissima discesa porta a Caporetto. Possibile anche, dall’ampia sella sotto la cima dello Stol seguire la strada sterrata che scende a Breginj.



