Zaini pesanti

di Saverio D’Eredità

Mi stavo giusto chiedendo l’altra mattina, caricando l’auto, se faccio sempre degli zaini pesanti perché non sono un alpinista top, o non sono un alpinista top perché faccio gli zaini pesanti. Tu dirai, “e vabbè”, ma son problemi, eh. Perché uno zaino leggero ti rende più veloce, più efficace, quindi più sicuro, sicuramente più “fit”, ma anche più “in”, per non dire più “cool” e tutta una serie di “più” che non stiamo neanche ad elencarli. Ti rende “più”. Che poi io ci sono andato con quelli bravi qualche volta, quelli che hanno lo zaino leggero e che al momento giusto tirano fuori da quello zainetto che manco ci andrei al mare, il cordino sottilissimo in kevlar da 30 metri con cui fanno tutto, che hanno i moschettoni contati precisi, i materiali giusti quelli che servono e poi non sudano mai e se sudano non puzzano (ecco, questa cosa mi rende molto, davvero molto invidioso), e hanno il capo giusto, l’assetto giusto. Io invece sono 20 anni che vado in montagna e ancora uno zaino leggero, uno zaino giusto, mica sono riuscito ancora a farlo. Deve essere proprio una “attitude” che non c’abbiamo, una postura, uno stile, che ci manca.

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E comunque ti sfido te, che sai sempre tutto, a sapere esattamente cosa portare e cosa no, se avrai caldo oppure freddo, se è giornata da thermos col tè o da bottiglia d’acqua. Se avrai bisogno di un negozio di alpinismo o quattro moschettoni e giusto il casco che non si sa mai. Quando ci si muove d’inverno, o sarebbe meglio dire “simil-inverno” la domanda “ma serve anche… (continua con capo di abbigliamento, bevanda o attrezzatura a piacimento)” è ricorrente. Che vi devo dire, sarà questa educazione da italiano medio, questa estrazione borghese o che sono meridionale e quindi il dubbio di avere freddo ti rimane, come quello di avere abbastanza da mangiare, abbastanza soldi e chiamare quando arrivo.

Ci metto del mio, ovviamente. Nel simil-inverno, in questa stagione che non si decide un po’come me quando faccio lo zaino, le salite che scegli, almeno da una certa quota in su hanno la stessa cifra di incertezza e definizione. Perché dal momento che non sei – questo è certo – un grande alpinista, finisci per bazzicare in quelle cose che “assomigliano” ad un invernale, ma senza crederci troppo. Ad esempio, ti scegli la “ferratina” per stare nella tua zona di comfort, come si suol dire, ma non sai mai quanto cavo trovi o quanto a lungo scavi. Oppure preferisci la “semplice” normale, ma poi finisce che tanto semplice non è, così da rimpiangere la corda abbondonata in auto. Per non parlare di quando si punta decisi su qualche canale solo per aver intravisto una webcam di una zona vicino e allora parte la ridda di incognite: c’è neve o ghiaccio? Sfonda o tiene? Le viti servono a qualcosa o servono solo a bucarti i vestiti?

Se parliamo di attrezzatura, poi, ognuno c’ha le sue teorie e ognuno i suoi perenni dubbi. Io di solito vado a “sentimento”, ma senza un piano vero e proprio. Con discreta arroganza, camuffata da saggezza, mi dico sempre che non si può portare tutto e che si deve far con quel che si ha. Salvo poi darmi ripetutamente dell’idiota durante la giornata. Salvo poi avere uno zaino comunque pesante.

Oggi, ad esempio, il “sentimento” mi ha portato a scegliere, nella semi oscurità di una cantina dell’alba due misure di friend “piccoli”. Rimasti elegantemente appesi all’imbrago per tutta una salita in cui ci siamo alternati tra disseppellimento di cavi, progressione in ferrata e in cordata, hanno avuto il loro momento di gloria quando si è trattato di affrontare – del tutto gratuitamente – un “couloir” dall’aspetto tanto invitante quanto ignota ne era la consistenza. Salvo scoprire, in quel famoso momento in cui la tua baldanza si esaurisce in un “ma se mettessimo qualcosa” che l’ombra della cantina ti ha ingannato e i friend sono si due, ma due della stessa misura. I restanti 80 metri, vorrei dire gli 80 metri “chiave” avrebbero dovuto quindi piegarsi al nostro equipaggiamento “minimal”. O noi, viceversa. Lungi dal fare un’apologia dell’alpinismo “clean”, “light” e altre menate del genere ciò di cui mi rallegro è l’aver trovato esattamente le due fessure della misura adatta a quei due miseri aggeggi esattamente dove servivano. Potrei dire che lo sapevo. In realtà è stata semplicemente una botta di culo. O la dimestichezza dei soci a muoversi con questi terreni senza fare troppo i precisini. Ovvero “farseli bastare”.

Farselo bastare è un po’ il mantra di questo genere di salite e se vogliamo di uno stile, ma vediamo di non darci troppe arie. Farselo bastare vuol dire tornare ad una certa concretezza, di prendere la montagna come viene e com’ è, aguzzando magari l’ingegno e adattandosi. Perché la rinuncia è una porta che deve rimanere sempre aperta. Farsela bastare, come questa montagna cui torno con una certa frequenza e senza troppi rimpianti.

Sono diversi anni ormai che, in questa stagione, regolarmente torno sulla Mala Mojstrovka. La Mala Mojstrovka, anzi la “Mala” per gli amici, è quel genere di montagna che ti da sempre qualcosa senza chiederti mai troppo. Ti fa sentire un po’alpinista senza tornare a casa tardi. Ti fa fare anche delle belle foto. Diciamo che è un po’il nostro parco giochi, il campetto sul quale abbiamo fatto partite memorabili. Ma pur sempre il campetto. Il punto è che siamo cresciuti e siamo rimasti al campetto. La “Mala” è l’anticamera di quello che avremmo voluto essere e non abbiamo avuto il coraggio di essere.

Ma che dire, allora, dello zaino pesante? Se alla fine hai avuto sia caldo sia freddo, se alla fine l’attrezzatura era comunque inadeguata, cosa ci sarà mai in quello zaino che non riesce, nemmeno sforzandosi, a farmi muovere come uno di quelli che con lo zainetto da scuola riescono ad essere prontissimi, preparatissimi, efficientissimi e perché no, pure bellissimi?

Lo zaino pesante è un po’ la cifra di un modo di essere, sempre carico di aspettative, mai troppo adeguato agli obiettivi che ci si pone. Lo zaino pesante, alla fine, non mi risolve proprio niente: è solo un fardello da portare che mi rende “meno” su tutto (meno veloce, meno efficiente e in fin dei conti pure meno sicuro) perché in tutta quella roba non c’è mai, non ci sarà mai, tutto quello che ti serve. Dallo zaino pesante tirerai comunque fuori due friend sbagliati e un cordino troppo corto e ti ripeterai che te li farai bastare.

Ancora una volta, con i nostri zaini pesanti, sbucheremo in cima alla Mala e guarderemo la fiamma della Skrlatica che si alza nel pomeriggio. Ci fermeremo, rapiti e immagineremo le prossime grandi salite che non faremo mai, perché non riusciremo a fare uno zaino che sia un po’meno pesante, a lasciare giù quello che non serve, a scrollarci di dosso le nostre paure.

Ancora una volta, ammetteremo che tutto sommato ci basta questo. Poter arrivare qui e immaginare i nostri mondi possibili. Tenere sempre quella porta aperta davanti a noi. Se abbiamo questo, in fin dei conti, abbiamo tutto.

Una risposta a "Zaini pesanti"

  1. Diego Totis 22 novembre 2023 / 12:43

    La verità è che non lo ammettiamo ma in fondo siamo tutti Sisifi. E, in fondo, ci piace.

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