Il giorno della marmotta (piccolo aneddoto di zaini mangiati ed economia circolare)

di Saverio D’Eredità

Bisogna sempre concedere una seconda chance. Chiedete al mio zaino. Divorato da una famelica marmotta uscita dal letargo sotto la sud della Chianevate, sepolto sotto stratificazioni di altri zaini per quasi dieci anni con l’idea, la speranza o forse semplicemente l’indolenza nel non volermene disfare, e ora finalmente rinato. Esistono, le seconde chance, solo che il nostro modo di pensare, il nostro modello sociale, vorrei dire non le considera nemmeno. Se sbagli sei fuori, dicevano. Non hai scaricato l’aggiornamento, mi notificano. Quello è il passato, mi commentano.

Eppure non è sempre così. Prendete il mio zaino. Che ci ero affezionato, io, e non perché ci avessi fatto chissà che (anche se ha pur sempre passato tra i rovi del Selvaggio Blu) e nemmeno per chissà quali grandi qualità tecniche. Ma perché l’avevo vinto. E le cose che si vincono, come quelle che ti regalano, ecco, ci tieni di più. Non è un ragionamento economico o, se così fosse, sarebbe controintuitivo. Però se – per dire – perdo, distruggo o danneggio una cosa per cui ho speso dei soldi, più che inveire i santi, o darmi dell’imbecille posso fare poco. Ma una cosa che vinci ha un valore diverso, intangibile.

Questo zaino l ho vinto per essermi classificato (settimo, ma gli organizzatori si vede che erano di manica larga) ad un concorso letterario promosso dal gruppo Gamma, uno dei gruppi alpinistici di Lecco. Quel racconto, Polvere e spit https://rampegoni.wordpress.com/2018/09/05/polvere-e-spit/, è stato forse il mio primo racconto lungo e si è meritato questo piazzamento. Piazzamento in cui il prestigio non era tanto la posizione in sé, quanto essere stato invitato a ritirare il premio proprio a Lecco, capitale morale dell’alpinismo italiano. Insomma, vi invitano a ritirare una medaglia a San Siro voi che fate?

Ora, non ho vinto granché ai concorsi, anzi, il più delle volte manco ti dicono cosa ne pensano del tuo racconto. Figurati leggerlo, premiarti e invitarti alla cerimonia! Già mi ero preparato il discorso sul palco, qualche osservazione arguta che lasciasse intende la mia competenza alpinistica di fronte ai “top” che avrei certamente intercettato nel “foyer”, insomma era un attimo che mi sarei trovato su un volo per El Calafate. Ovviamente il film fini quando annunciarono che avrebbero chiamato a ritirare i primi tre e gli altri potevano chiedere in segreteria. Vabbè. Comunque la sorpresa di quello zaino Camp 28 L, leggero, polivalente, oggettivamente ammiccante, era valsa la trasferta. Niente biglietto per la Patagonia, ma uno zaino “comme-il-faut” per la gioia delle spalle e dei compagni abituati a robe prossime all’Invicta della scuola.

Vita breve, tuttavia. Come il Fantozzi che si vede sottrarre da Robin Hood i soldi appena ricevuti anche io posso dire “neanche 20 minuti”. A dire il vero, neanche due anni! Ma ci sono giornate che iniziano con la stella sbagliata e quella della Chianevate lo era da subito. Inizio stagione, allenamento approssimativo dopo una stagione sciistica infinita, tanta neve in avvicinamento, nuvole basse e poca convinzione. Ma, si sa, abbiamo attraversato epoche in cui avremmo attaccato qualunque via, in qualunque condizione, purchè fosse verticale. Quella giornata è comunque passata alla storia. Per una “quasi-Plote”, terminata a due tiri dalla fine in mezzo ad una nebbia viscosa. Per una discesa a doppie costellata di incastri. Per un traverso che mi è parso eterno. E per la marmotta che mi ha divorato lo zaino. Belle eh, le marmotte. Ma sappiate che rimangono pur sempre dei roditori. Dei toponi molto grassi dall’aria simpatica. Ma pur sempre topi. E quando escono dal letargo si mangerebbero pure i sassi. O la plastica. Evidentemente spallacci e schienale dello zaino, belli impregnati di sali del mio sudore hanno costituito un bell’aperitivo post letargo. Così, toccato terra all’ultima doppia invece di trovare i miei affetti ho trovato brandelli di un “fu” bellissimo zaino tecnico. Il resto della giornata è stato uno snocciolare bestemmie, improperi e ogni genere di promessa di vendetta, abbandono dell’attività alpinistica, esilio. Qualcuno ce l’aveva con me. Le marmotte avevano punito la mia “hybris”. Quella giornata si concludeva quindi con il carico di frustrazione tipico dell’uomo moderno. La scarsa prestazione, il mancato raggiungimento della cima, il danno economico.

E lo zaino? E qui bisogna che ci facciamo tutti un esame di coscienza. Perché sarebbe stato facile prendere un sacco nero e dire “ciao”. Ma io all’economia circolare, in realtà, ci ho sempre creduto. Anche se non si chiamava ancora così e i vecchi (più vecchi, intendo), ti diranno che ai loro tempi “ago e filo e una toppa e avanti”. E c’avevano ragione. Io poi, ho sempre in mente Cassin che scala con la camicia di cotone, Hermann Buhl in cima al Nanga con k-way (e le anfetamine), o Bonatti con il sacchetto del pane in testa. E mi son sempre un po’vergognata di tutta sta roba brillante, pulita, efficiente che reperiamo con grande facilità – se si ha il bancomat sempre disponibile. E poi, vuoi mettere l’affetto? Non riuscivo proprio a liberarmi di quello zaino. Sapevo che prima o poi avrebbe avuto la sua “seconda chance”. Bastava solo aspettare. E quando Michele ha aperto il suo negozio, mi son girato verso lo zaino: era arrivato il suo momento.

L’economia circolare è concetto molto in voga, spesso accompagnato da supercazzole e argomentazioni fumose. Ma è chiaro che, in qualche modo, o andiamo in quella direzione o passeremo più tempo a spalare rifiuti che a comprare cose. Più che il concetto in sé, su cui siete liberi di disquisire quanto vi pare, io credo che bisognerebbe lavorare a livello mentale sulle vere esigenze, sull’adattamento e sul desiderio. Che tante volte basterebbe fermarsi e dire “ma mi serve veramente”? Oppure “ma sicuro che non riesco a farne a meno?”. Domande magari banali, ma provate a rispondere sinceramente. Provate ad applicarle veramente. Dura eh? Certo, magari tocca patire un po’di freddo in più. Sudare un po’ di più. O aspettare, un po’ di più. Anche 10 anni. Come il mio zaino. Prima o poi la seconda chance arriva.

ps: questo non è uno spot, per il solo fatto che ho pagato io 😃 per scrivere dello zaino – che se lo meritava – e di Michele, che si merita l’applauso per aver riportato in vita uno zaino a brandelli e per l’idea del suo negozio. Re_cuci store offre servizi di riparazione di capi tecnici per sport outdoor, cercando di recuperare e riadattare capi di abbigliamento con attenzione ai materiali e al design. Una bella idea, di un giovane imprenditore (si può dire?) che forse ci dice qualcosa sul futuro che dovremmo ascoltare. Riferimenti su instagrame pagina facebook https://www.facebook.com/profile.php?id=61551778941539

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