Non un solo passo – pensieri di ritorno dalla Stena

di Saverio D’Eredità

Non mi è mai pesato un solo passo, su questa montagna. Non un solo metro di arrampicata, non una risalita da qualche dolina che – inattesa – si frapponeva alla successiva meta. Non ho contato mai le ore (e se mai è successo, era solo per curiosità che qua il tempo si sa, lo devi lasciar da parte) e nemmeno sbuffato per i contrattempi. Per una nuvola di troppo. Persino un temporale.

Ci siamo lasciati l’ultima volta, 4 anni fa, nella stessa maniera. Quando finalmente anche l’ultimo gradino che fascia la “Stena” è passato, ecco le prime gocce. Pochi minuti, ed è il diluvio. Testa incappucciata del compagno che seguo senza parlare né pensare, cercando riparo tra i primi faggi. Non mi è mai pesato nemmeno questo. Sarà perché qui ti senti a casa?

Parete Nord del Triglav – foto S.D’Eredità

E’ difficile spiegare come possa sentirsi a proprio agio nel ventre di questa muraglia lunga 3 km e alta 1 e mezzo. Le grandi pareti ispirano solennità, talvolta timore, più spesso stupore. Qui, oltre a tutto questo, anche una certa serenità.

La “Stena” “La Parete” per antonomasia delle Giulie Slovene, è un appuntamento ritrovato. Una vecchia abitudine da riprendere. Quella di filare veloci nell’alba verso il fondo della Vrata, disperdendo man mano con i metri le chiacchiere e accrescendo silenzio e distanza. Ritrovarsi all’attacco, accorgersi che bastano poche parole e tutto è già li – quello che serve, quello che cerchiamo. Tastare la roccia – sentire che è buona, laddove l’acqua corre e pulisce e smussa – intuire la cengia senza leggere la relazione e poi sfumare un tiro nell’altro, un’ora nell’altra. E anche perdersi, ma solo un momento e senza timori. C’è il chiodo di qualcuno che la pensava come te e forse si è ricreduto. Sentirsi parte di un qualcosa, scoprire che facciamo gli stessi errori e qualche volta quindi anche gli stessi sogni. Infine, lasciarsi assorbire pian pianino – ricordarsi che diamine! se è lunga – ma in fondo in fondo accettare.

Quando la via finisce sei soltanto a metà: ancora un cunicolo tra un nevaio tardivo che pare esser stato dimenticato dall’estate, ancora una cengia lanciata come un ponte tra universi. L’ultima paretina va scalata, amico, stringere le chiappe e possibilmente anche le dita. L’altipiano sommitale è un allunaggio.

Non mi è mai pesato nulla di questa montagna, nemmeno una ritirata, nemmeno l’ennesima cima rinunciata. Qui sembra davvero così poco importante. Sulla Stena ritrovo il senso di questo nostro andare che non è solo la via, il passaggio, il tiro o la cima. Paradossalmente, bisogna venire sulla parete più grande della montagna più alta per capire che i superlativi non importano. Tutti questi risultati raggiunti, questi presunti traguardi, qui svaniscono. Quello che ti importava era scivolare in questo mare grigio.

Ottavo tiro, appena dopo la Torre Bavarese – foto N.Narduzzi

In realtà non cerchiamo che questo. Esattamente il contrario di ciò che si crede o si presume. Chi non lo capisce prima o poi, si allontana annoiato. Non ci prende nessuna adrenalina, non ci esalta alcuna vittoria, non ci appaga nessun risultato. Nemmeno quella noiosa sfida con sé stessi. Qualche volta non cerchiamo altro che un po’di pace, un luogo dove stare, dove perdersi. Dove trovare. Qualche volta sono le montagne stesse a dirci cosa stiamo cercando. Anche oggi, ringrazio il Triglav per avermelo ricordato.

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