Viaggio a Uqbar

di Saverio D’Eredità

“Debbo la scoperta di Uqbar alla congiunzione di uno specchio e di un’enciclopedia.” (J.L.Borges, “Finzioni”)

Verso la fine degli anni ’90 sulle pareti del Winkel Mario Di Gallo disegna due itinerari di ispirazione “borgesiana”. Pur diverse come tipologia di arrampicata, queste due vie hanno in comune la caratteristica di dipanarsi lungo linee effimere, appena intuibili. O forse inesistenti.

Alcuni anni fa, circa a metà della via “Rosacroce” smarrimmo improvvisamente la traiettoria di diedri e fessure, perfettamente scolpiti, della parte bassa per trovarci a cercare indizi in un mare di placche bombate ed imperscrutabili. Forse non fummo abbastanza attenti, o forse era questa la ragione del nome. Ci rimase il dubbio. Come di un sogno di cui ricordi qualcosa ma che più ci pensi e più ti sfugge. Rispetto a Rosacrcoe, “Viaggio a Uqbar” conserva lo stesso fascino surreale che proviene dall’immaginario del grande scrittore argentino, svolgendosi in senso apparentemente opposto alle linee naturali della parete. In effetti, quando a pochi metri dalle certezze offerte dai regolari diedri della “Guerrino Di Marco” ci si trova in equilibrio su queste placche delicate viene da pensare che tutto questo sia un assurdo gioco senza senso. La tentazione di darsi alla fuga è forte. Ma per trovare Uqbar bisogna rinunciare alle certezze e offrirsi all’immaginazione. Scoprendovi un’alternativa possibile. La grande placca di metà via, dove due fessure parallele consentono una traversata non facile, ma possibile riassume bene il senso della via e il fascino di queste scalate “surreali”.

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Erico Mosetti sui diedri iniziali di “Rosacroce” – foto S.D’Eredità

Questo pezzo di roccia – che insieme alla Chianevate e al Bila Pec possiede la roccia forse migliore che si può trovare in Friuli – offre salite di grande valore e sicura soddisfazione. Difficile non innamorarsene e altrettanto difficile resistere alla tentazione di tornarci ancora una volta. Non staremo a fare la contabilità, ma ci soffermeremo ancora una volta, increduli e riconoscenti sulla cengetta che come un salvacondotto porta fuori dalla parete. O sul grande altopiano sommitale, dove ci si risveglia come da uno strano contorto sogno che ci appare improvvisamente lontano. Ad ognuna si legherà un ricordo. Un giorno di compleanno, le chiacchiere in sosta con un amico, un tiro di corda particolare (sempre lo stesso, uguale nel tempo, che si ripete) e un piccolo errore. Cose senza importanza.

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Andrea Fusari sul breve traverso in placca del quarto tiro di “Viaggio a Uqbar” – foto S.D’Eredità

A ben vedere, su questa parete, non c’è una linea più ideale delle altre, come nei racconti di Borges è difficile capire quale mondo sia reale, se Uqbar o Tlon, e chi sta parlando di cosa o per conto di chi. Che ricorda che nell’arrampicare un po’tutto sia effettivamente possibile seppure non logico. E quindi, in fin dei conti, nemmeno così importante.

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In uscita dal tiro chiave di “Viaggio a Uqbar” – foto S.D’Eredità
Viaggio a Uqbar – Quota 2208 del Cavallo di Pontebba (parete Nord Est)

Una delle più belle salite del gruppo del Cavallo, aperta da M.Di Gallo e P.Pedrini nel 1995 segue una linea apparentemente non naturale nel centro della parete, ma che man mano svela una sua logica intrinseca alla ricerca di movimenti estetici su roccia di ottima qualità. Leggermente meno impegnativa della vicina “Rosacroce” anche se diversa come scalata, prevalentemente su placca tecnica e di equilibrio. Parzialmente attrezzata a spit alle soste e lungo il tiro chiave (2 spit e un provvidenziale lungo cordone che permette di assicurarsi sul passo più impegnativo), offre comunque eccellenti possibilità di protezione a friend di ogni misura. La via incrocia in due punti la classica “Guerrino” e quindi la possibilità di deviare in caso di necessità. Discesa (comoda) per la via Schiavi o la normale del Cavallo (preferibile ad inizio stagione).

Difficoltà: V, VI, due passi di VII-

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Sul penultimo tiro della via “Guerrino Di Marco” – foto S.D’Eredità
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Picco di Carnizza mt. 2443 – Salita invernale per la ferrata Grasselli

 

di Saverio D’Eredità

Se è vero che il gruppo del Canin, soprattutto d’inverno, si trasforma in un interessante e vario “terreno di gioco” per le attività alpinistiche e scialpinistiche è altrettanto vero che non tutte le zone del massiccio sono frequentate alla stessa maniera. Ovviamente attorno al centro gravitazionale del Gilberti ruota quasi tutto l’interesse per le diverse linee ed itinerari che confluiscono nella conca Prevala; ma qualche volta basta spaziare un po’più in là e sollevare lo sguardo oltre le forcelle per riaprire inusuali spazi di gioco.

Con questo intento domenica scavalchiamo la piccola mezzaluna di Sella Bila Pec per dirigerci verso il lato meno noto del versante nord del Canin, ovvero il grande altipiano solcato dalla dolina del Foran dal Mus. Un altipiano anomalo, tutto fossati ed inghiottitoi, forse più noto agli speleo quale porta d’accesso di grandi esplorazioni sotterranee che non agli scialpinisti. Svalicare ha sempre un certo fascino di ignoto, anche se siamo dietro l’angolo degli impianti. Ed è questo che ci intriga di più!

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Vista sul Foran dal Mus

La meta è il Picco di Carnizza, nobile “bracciolo” del Canin che ne sorregge il contrafforte maggiore verso nord-ovest. Una vetta a sè stante eppure di transito per chi percorre l’alta via resiana. L’idea è quella di dare un’occhiata alle possibili salite lungo i canali che solcano le regolari stratificazioni del versante nord, ma di fatto sappiamo che forse solo la ferrata “Grasselli” ci permetterà una soluzione di salita in queste condizioni.

Percorriamo il lungo corridoio del Foran dal Mus aperto tra le gobbe della morena del Canin e i profili ondulati del Col delle Erbe. Siamo in una vera “fossa” dalla quale a mala pena riusciamo a intravvedere le creste del Canin come riferimento. Dopo un’oretta di saliscendi e cambi di strategia decidiamo per la salita di una dorsale che ci porta proprio sotto la nord del Picco. Gli sci vanno in spalla per semplificare e approfittando della neve compatta e trasformata del periodo.

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Verso il Picco di Carnizza

L’idea (velleitaria) di salire uno dei canali (con il relativo carico di armamenti e ferraglie per ogni evenienza) viene subito scartata per dirigersi nettamente all’attacco della cresta nord-ovest e della ferrata. I primi metri sono stati “mangiati” dalla seppure poca neve, quindi saliamo qualche metro a sinistra per una “specie” di canale per poi riprendere i cavi con qualche mossa funambolica. Per il resto per fortuna i cavi sono abbastanza scoperti e permettono di risalire rapidamente la cresta che dopo alcuni metri verticali si appoggia. Con maggiore innevamento sarebbe possibile deviare per un canale diretto a sinistra, ma quest’anno è magra. Saliamo ancora lungo la cresta, quindi con un traverso delicato per neve inconsistente (unico punto dove decidiamo di legarci) finalmente confluiamo in un bel canale regolare: ottima neve plasticosa e pressata! Scaldiamo per bene i polpacci (la pendenza è costante sui 45° con uscita a 50°) e usciamo in cresta, in una aria livida e tenebrosa. Solita risalita che sembra eterna e siamo in cima, con gran vista sulla misteriosa ovest del Canin e la sua “magic line” di discesa quest’anno invisibile.

 

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Ovest del Canin

Il rientro è per lo stesso percorso, alternando brevi sciate e risalite con gli sci sul groppone. Tutto sommato oggi interpretiamo lo scialpinismo in un’accezione meno ludica ma comunque avventurosa. L’altopiano, sprofondato nella luce piatta di un pomeriggio plumbeo, è un golfo bianco e inconsistente. Di dosso in dosso – con immancabile risalita spacca polmoni a Sella Bila Pec – usciamo dal “wild side” del Canin per tornare a zone più familiari. Come immancabile è la scorta della polizia lungo la pista discesa in orario “limite”. Parafrasando un ben noto titolo della letteratura di montagna “Colpevoli di alpinismo”.

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Picco di Carnizza – ferrata Grasselli